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CAPO XXII. 145

tati da Lucrezio, avessero pienamente dimostrata la vanità dell’arte, pure il senno dei filosofi poco allora, come oggidì, valeva a sanare la moltitudine dei credenti da inveterate superstizioni. Onde l’istessa aruspicina, quasi fosse bisogno di tutte le classi della società, si mantenne rigogliosa per secoli e lungamente sopravvisse al nome degli Etruschi, poichè l’arte mancò soltanto con la totale caduta del paganesimo: tuttavia il superstizioso Giuliano facevasi seguitare nelle sue imprese militari da toscani aruspici interpetri delle cose prodigiose1.

Fino dalla prima civile istituzione delle nostre genti le paterne religioni si videro così frammischiate da per tutto ugualmente con ogni genere d’affari, come se miglior schermo non potesse avere la città. In Etruria, ne’ Sabini, ne’ Volsci, in Sannio, e nella Liguria stessa, che quasi direbbesi separata da quelli per altre genti e costumi, ritroviamo a un modo prescritta una legge sacra antichissima, la quale non pure avea massima forza a far coscrivere in qualunque soprastante pericolo i cittadini nell’armi per andare sopra i nemici, ma con riti astrusi e tremendi imponeva loro sotto giuramento morire, più presto che lasciarsi vincere in campo2. Mediante questa legge sacra, gagliardissima sopra tutte l’altre, è cosa manifesta, che

  1. Ammian. Marc. xxiii. 5., xxv. 2. conf. Cod. Theodos. lib. xvi. tit. x. l. i. de Pagan. sacrif. cum comm. Gothofred.
  2. Lege sacrata quae maxima vis cogendae militiae erat. Liv. iv. 26.