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Pagina:Storia degli antichi popoli italiani - Vol. II.djvu/295

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CAPO XXVII. 289

ventura alle masnade che tanto travagliarono Italia dopo il mille. Sì fatto costume di militare stipendiati o per l’uno, o per l’altro, era molto antico: si dice che un condottiere etrusco prestasse soccorso a Romolo1; ma tal era sicuramente quel Cele Vibenna chiamato da Tarquinio a Roma2, e il suo fido compagno Mastarna, che simile a uno Sforza indi potè acquistarsi la corona sotto il nome di Servio Tullo. Così ancora un Oppio tusculano, e Levo Cispio d’Anagni avrebbono, secondo Varrone, presidiato Roma per Tullo Ostilio3. Le consuete fazioni di guerra si rivolgevano per lo più in scorrerie improvvise e danneggiamenti sul territorio nemico: brevi erano le campagne perchè limitate ai soli intervalli, in cui poteva il soldato agricola confidare alla natura il frutto della ricolta. Di tal modo le guerre rotte secondo legge Feciale per giuste vie, corte e spedite, riuscir non potevano nè molto distruttive, nè crudeli: in fatti non altra era la natura propria del combattere nella forma antica4. Comunemente la battaglia soleasi vincere per bene assalire nel primo scontro: quindi sì di frequente trovasi fatta menzione di guerre aperte, ch’ebbero fine nel corso di pochi giorni. Però i maestri di guerra ponevano grande attenzione nella scelta dei posti, e in ben fortificare gli alloggiamenti. Nel modo

  1. Dionys. ii. 37.; Propert. iv. el. 2. 51.
  2. Tacit. iv. 65.
  3. Varro ap. Fest. v. Septimontium.
  4. Dionys. iii. 34.; Cicer. de Offic. i. 11.