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90 LIBRO SECONDO — 1760.

dotte popolari scritture i reggitori e i soggetti ne’ veraci dogmi della religione di Cristo, e tornare in concordia l’impero, il sacerdozio, il giudizio de’ magistrati, la coscienza de’ popoli.

V. Si operavano le dette cose mentre il principe di San Nicandro provvedeva alla sanità ed agli studii del re, il quale nato con felicità di robustezza, e dedito agli esercizii della persona, acquistando tuttodì gagliardia, inchinava alle pruove di forza; secondato dal precettore che andava superbo di quella corporale valetudine. Furono ravvivate le ordinanze per la caccia, rammentate le pene, anche i tratti di corda a’ trasgressori, popolati i boschi di fiere, moltiplicati i custodi, e, avanzando lo stesso genio smodato di Carlo, aggiunte altre foreste alle antiche. Aveva il re dodici anni, Gli esercizii e i diletti consumavano molte ore del giorno, e svagavano la mente dagli studii. Gli uomini di più fama e dottrina erano suoi maestri; ma ora il tempo, ora mancando il volere, nessuno o raro l’insegnamento, si vedevano crescere del re la forza e l’ignoranza, pericoli dello stato nell’avvenire.

Fanciullo, non soffriva conversar co’ sapienti, e fatto adulto, ne vergognava. Godeva mostrare o narrare come sapesse abbattere cignali o cervi, colpire a volo uccelli, frenar destrieri, essere sagacissimo alla pesca, primo alla corsa; talenti millanterie da barbaro, tenuti a pregio da genti del popolo educate a costume spagnuolo. Coll’andare degli anni avanzava il gusto incivile del re; e adulto appena (a sedici anni) divenuto libero sovrano di ricca e grande monarchia sperdeva il tempo ne’ piaceri della giovinezza e del comando tra giovani, come lui, atleti e ignoranti. l’attitudine a quelli esercizii. la forza, il vivere dissipato, i gusti plebei, divennero ambizioni de’ soggetti, e tanto più de’ nobili, compagni al re o da lui ammirati nella corte. E tanto si appresero all’animo di lui quelle barbare costumanze che non bastò a sbandirle lunga età, e regno pieno di varie fortune. Era già marito e padre quando in Portici, dopo ammaestrati al maneggio dell’armi certi soldati che nominò Liparotti, alzava bettola nel campo, e con vesti ed arnesi da bettoliere ne faceva le veci, dispensando cibo e vino a poco prezzo, mentre i cortigiani e talvolta la moglie simulavano della bettola i garzoni e la ostessa. Altra volta giuocando a pallone, vedendo tra spettatori giovine macro e stentato, bianco il capo di polvere, con veste lucida e nera di abate, volle per ingiurioso diletto farne spettacolo di riso; e piegatosi all’orecchio di un cortigiano, fu veduto questi partirsi e tornare con coperta di lana, che quattro de’ giuocatori più gagliardi (il re tra loro) distesero tirandola per le punte: e subito l’abate preso da servi o manigoldi, trasportato nell’arena del giuoco, messo per forza su la coperta, balestrato in aria più volte ricadeva sconciamente tra le risa e le grida di plebaccia e di