Pagina:Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825 I.pdf/152

Da Wikisource.
142 LIBRO TERZO — 1791.

per voti, pubblicità. A lui non mancava per aver forza di rappresentanza che la legalità, ma la compensavano il numero, la veemenza degli associati, l’assentimento del pubblico. Volevano i giacobini popolare governo; poco manco altre adunanze: e incontro a tanti stavano debole assemblea legislativa, re tante volte soperchiato, staluto nuovo e non difeso.

IV. Alle circolari del re Luigi, portanti l’assenso al nuovo statuto della Francia, il re di Napoli rispose che a credergli attenderebbe di sentirlo libero; e gli altri monarchi variamente, come voleva diversità di politica e di affetti. Solo il re del Piemonte, spaventato del vicino incendio, già volta in paura la stolta speranza di conquistar su la Francia, propose a’ principi d’Italia lega italiana, che impedisse la entrata delle armi francesi e delle dottrine rivoluzionarie. Tutti aderivano, fuorchè Venezia e gli stati imperiali di Lombardia; essendo casa d’Austria più sospettosa della Italia unita che della Francia sconvolta. Così svanita la proposta, ogni stato italiano si affidò al proprio senno, è, direi meglio, alla ventura. Frattanto l’imperatore Leopoldo, per natura schivo di guerra, armigero insino allora per primo sdegno, inchinevole più di altro re, o solo tra i re al bene dei popoli, rinviò alle antiche stanze il radunato esercito; la imperatrice di Russia, pacificata con la Porta Ottomana, non mirava ad altre guerre; la Prussia si acchetò; la Spagna impigriva col suo re; durava in pace la Inghilterra: l’ira della regina di Napoli, e gl’impeti guerrieri del re Gustavo nulla potevano contro la Francia. La quale avrebbe forse invalidate le opinioni di repubblica e provveduto al suo governo, se due fazioni civili, più fiere del giacobinismo, non l’agitavano: fuorusciti e clero. I primi (che dirò emigrati, pigliando il nome come i fatti dalle istorie di Francia). in gran numero adunati ed ordinati a guerra su le due frontiere del Reno e del Piemonte, minacciavano la sicurtà della patria. Nobili la più parte, non veri cittadini della Francia, nè servi fidi al re, punto guerrieri, punto animosi, assetati di privilegi e di favore, fuggivano la nuova eguaglianza civile, e col mal tolto nome di fedeltà sospiravano il ritorno di monarchia prodiga e sfrenata. Furono inavvertite o tollerate le prime fughe; ma quando crebbero da comporre due eserciti, con armi, danaro, uffiziali esperti e principi della casa, l’assemblica legislativa sentì sdegno e sospetto: gl’invitò a tornare in patria: gravò di taglie i beni de’ contumaci; minacciò di pena le persone; ma nulla potendo gl’inviti o le minacce, essi stavano a’ confini, segnale e principio d’incendio, onde si affidavano che tutta la Francia bruciasse. Accusavano le intenzioni meglio cittadine, incitavano i potentati stranieri alla guerra; arrischiavano la vita del re, il cui nome serviva di onorato pretesto a brighe infami. Il clero stava diviso tra i ripu-