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LIBRO TERZO — 1794. 153

di Napoli andò gravata di centotrè mita ducati al mese; la baronia di centoventi mila. E dopo ciò, il re disse con editto: «Quanto altro bisogni alla difesa ed alla quiete del regno sarà fornito dagli assegnamenti e risparmii della mia casa.» Facevano peso le nuove taglie; ma poi che grande l’obietto, certe le spese, liberali le promesse del re, non si udivano lamenti, e rinforzavano gli odii contro i Francesi, cagioni a quelle strettezze. Nell’anno medesimo altro regio decreto prescrisse che le chiese, i monasteri, i luoghi pii dessero alla zecca dello stato gli argenti sacri, salvo i necessarii ai divini uffici: e i cittadini gli argenti proprii; fuorchè gli arredi, ma pochi, da mensa: polizza di banco, valevole dopo certi anni, ne pagava il prezzo; e si confiscavano gli argenti nascosti, concessane quarta parte a’ denunziatori. Il quale decreto fu chiamato suntuario; nome spesso dato alle leggi che apportano per la parsimonia de’ soggetti opulenza all’erario. Gran copia di argenti fu donata, obbedendo e tacendo i donatori.

XII. Ma il silenzio dell’universale volse a tumulto quando fu visto che il governo spogliava i banchi pubblici. Così chiamavano, come è noto per le nostre istorie, sette casse di credito, che per dote, legati ed industrie divennero possedittrici di tredici milioni di ducati. I pubblici offizii, i privati, la stessa casa del re, depositavano al banco il proprio danaro, là tenuto sicuro perchè guardato e guarentito. Una carta, detta fede di credito, accertava il deposito: la presentazione della fede produceva immediato pagamento: le fedi circolavano come danaro, nulla perdevano al cambio; guadagnavano a’ tempi delle maggiori fiere del regno per il comodo e la sicurezza di portare in un foglio somme grandissime. Il danaro contrastato per liti andava al banco; i pagamenti legati si facevano per carte di banco: molto danaro del regno; il tutto, quasi, della città; ventiquattro milioni almeno di private ragioni, stavano in quelle casse. Ma i bisogni dello stato, l’istinto del dispotismo, l’agevolezza d’involare e di coprire per nuove carte il danaro involato, ln speranza di rimediare al mancamento prima che manifesto, ed alla fin fine il sentimento ne’ re assoluti che la roba come la vita de’ soggetti sieno della corona, furono argomenti a stender mano rapace a que’ depositi. Durava tacitamente lo spoglio; le fedi già soperchiavano di molti milioni la moneta; il credito le sosteneva: era dunque introdotta nel commercio la carta monetata, ma buona perchè incognita. Svelata dall’abuso, i depositarii, traendo in folla ed a furia i loro crediti, fecero vote le casse; e, trattenuti gli ultimi pagamenti, fu distrutto il prestigio della fedeltà. Essendo grande il danno perchè infinite le relazioni coi banchi, divenne uguale il grido e lo spavento. «Ecco, dicevano, i tesori del re disotterrati per amor nostro! Ecco i giojelli della regina pegnorati o venduti! Questi sono.