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162 LIBRO TERZO — 1795.

o mal consiglio, non già proposito e delitto. Altre colpe di lui stanno registrate in quei fogli; e ve ne ha tali per fino malediche a suoi principi. Molti nobili (egli stesso n’ è cagione col consiglio e con l’esempio) sono tra congiurati; i Colonna, i Caracciolo, i Pignatelli e Serra e Caraffa, ed altri nomi chiari per natali, titoli e ricchezze; i giovani bensì, non i capi delle famiglie, ma i giovani si riempiono le congiure; e poscia i maggiori, per naturale affetto di sangue difendendo i figliuoli, ajutano l’impresa. Sono queste le cose che io doveva rassegnare alle loro maestà; elle decidendo ricordino che incontro a’ tristi e ingrati vi ha l’obbedienza dell’esercito, la fedeltà del popolo, la vita di molti.»

E tacque. La regina non osava parlare prima del re; ma questi disse al ministro, «E, dopo ciò, che proponete?» E quegli:

«So che è debito di ministro, esponendo i mali proporre i rimedii; ma lungo riflettere non mi è bastato a sciorre i dubbii che si affollano in mente, ed ho sperato dalle loro maestà comando e consiglio. Non vi ha che due modi, pericolosi entrambo: la clemenza o il rigore; pochi mesi addietro erano congiurati uomini mezzani, oggi lo sono i primi dello stato; dove giugnerà la foga, se spavento non l’arresti? ma quai nemici e quanto potenti affronterebbe il rigore? Egli è vero che i tempi sono mutati, ma vive ancora la memoria e la superbia delle guerre baronali, e si citano i danni e i cimenti de’ re aragonesi; egli è ancor vero che la baronia di oggidì non è guerriera, ma l’ajuta passione di libertà, che pur troppo è ne’ popoli. Fra le quali dubbiezze mi venne pensiero utile, non giusto; ed alle maestà vostre lo confido. Ambizione muove il cavalier de’ Medici, il giovine impaziente non può soffrire la incertezza ed il tedio dell’aspettare; se vostra maestà lo innalzasse a ministro, cesserebbero le voglie ree di mutar lo stato, ed egli spegnerebbe in un giorno le trame, note a lui, della congiura.» E non anco finiva il bugiardo discorso, se la regina, rompendolo, non diceva: «Ludibrio della corona! siamo a tale ridotti che dobbiamo dar premii a’ congiurati? E chi d’oggi innanzi non congiurerà contro il trono, se avrà mercede, quando fortunato, dalla impresa; e quando scoperto, da noi? Sire (volgendosi al re), è diverso il mio voto. II cavalier Medici, comunque abbia i natali e l’autorità, i nobili d’ogni nome, di qualunque ricchezza, corrano le sorti comuni, e un tribunale di stato li condanni. Un alto esempio val mille oscuri.» E allora il re sciolse la secreta conferenza, prescrivendo che al doman l’altro i ministri dello stato, il general Pignatelli capo dell’armi, il cardinale Fabrizio Ruffo, il duca di Gravina e il principe di Migliano si adunassero a suo consiglio nella reggia di Caserta.