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166 LIBRO TERZO — 1795.

popolo come schiavo, e la schiavitù e la tirannide aver cagioni sincere nella libertà. Non è uffizio nostro stendere quella istoria, ma felice chi giugnerà a quell’altezza, dove rimarrà chiaro in fin che duri la memoria degli uomini; avvegnachè non ha il mondo argomento che pareggi la storia di Francia dell’anno 89 del passato secolo al 15° del corrente. Basterà a noi, narratore di poca parte di quegli avvenimenti, rammentare che nel governo della convenzione surse la tirannide di Robespierre, per la quale in breve tempo morirono di scure mille ottocento Francesi, e si fece salda la libertà; che, morto lui, e pure di scure, passò il potere a cinque appellati Direttorio; e che allora, cessate le atrocità, ebbe il governo della Francia sembianze meno ingrate alle genti straniere, ma più da’ principi abborrite, perchè più adatte alla intelligenza de’ popoli.

XXI. Il generale Bonaparte, appena conosciuto per i fatti di Tolone, acquistata fama nel parteggiare della città di Parigi, venne capitano dell’esercito guerreggiante in Italia. Giovine che di poco avea scorsi venticinque anni, moveva dileggio a’ vecchi capitani delle case d’Austria e di Savoja: ma in pochi di que’ sensi facili mutarono in altri più veri di maraviglia e di paura, Per le battaglie di Montenotte, Millesimo, Dego, Mondovì, spartiti gli eserciti collegati, il Piemontese forzato a scegliere tra la sommissione o la prigionia, l’Austriaco a ritirarsi negli stati lombardi, stupirono di timore tutti i prìincipi italiani; tra’ quali, i deboli, negoziarono pace; e i forti o prosuntuosi, accrebbero le difese e le milizie. Venezia ricordevole delle sue grandezze, inaccessibile, stando in mare, a’ battaglioni francesi, pregata di alleanza quando dalla Francia e quando da’ potentati contrari, aveva risposto, ch’ella armata in neutralità non assalirebbe gli altrui dominii, difenderebbe i proprii. Napoli, alla estremiti della penisola, con buona frontiera, molto popolo, e la Sicilia isola grande, cittadella del regno e della Italia, dominava per possanza propria e di confederazione i mari del Mediterraneo; il suo re passionato, arrischioso, e sino allora offeso e invendicato, disfidò le ostilità, inviando altri cavalieri nella Lombardia; e facendo per molti editti bando di guerra così composto: «Quei Francesi che uccisero i loro re; che desertarono i tempii, trucidando e disperdendo i sacerdoti; che spensero i migliori e i maggiori cittadini; che spogliarono de’ suoi beni la chiesa; che tutte le leggi, tutte le giustizie sovvertirono, que’ Francesi non sazii di misfatti, abbandonando a torme le loro sedi, apportano gli stessi flagelli alle nazioni vinte, o alle credule che li ricevono amici. Ma già popoli e principi armati stanno intesi a distruggerli. Noi, imitando l’esempio de’ giusti e degli animosi, confideremo negli ajuti divini e nelle armi proprie. Si facciano preci in tutte le chiese; e voi, devoti popoli napoletani, andate alle orazioni per