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LIBRO TERZO — 1796. 169

infelice ventura de’ fuggitivi gli negavano i vincitori, se i cavalieri napoletani, allora nelle prime armi, non avessero combattuto con valor degno di agguerriti squadroni; soldati ed uffiziali onoratamente morirono; il generale Cutò cadde ferito nel campo, e fu prigione; il principe di Moliterno capitano di centuria, colpito di scimitarra nel viso, rimase orbato di un occhio. Al grido delle nostre armi i Francesi sospesero la preparata guerra contro il regno, certi di trovarlo difeso da prodi soldati; e Bonaparte, per iscemare di quello ajuto il maggior nemico, offerì armistizio al re di Napoli; il quale, volte le speranze a timori, accettò l’offerta, e per patti stipolati in Brescia rivocò di Lombardia i suoi reggimenti, e dall’armata anglo-sicula i suoi vascelli; facendo le mostre della pattuita neutralità, comechè in petto crescessero il sospetto e la nemicizia per sentire le occupate città d’Italia ordinarsi a repubblica, avanzare il pericolo rapidamente come le conquiste, e ’l general Bonaparte correre la bassa Italia sino a Livorno, con una legione debole, sola, sicura nei nome e nel fatto del condottiero.

Cosicchè all’avviso che il maresciallo Wurmser con esercito nuovo scendeva in Italia, e che il generale francese affaticavasi a radunare le separate schiere per ripararle (diceva fama) in campo lontano, il re di Napoli, rianimate le speranze dello sdegno, scordando il fresco armistizio, spedì altri soldati alla frontiera, occupò una città (Pontecorvo) degli stati del papa, e si dispose alle ostilità. Il pontefice ancor egli, amico della Francia per fede recentemente giurata, preparò mezzi di guerra, e concertò i modi con le case d’Austria e di Napoli. Non farà quindi a’ dì nostri maraviglia che il maggior legame delle società, la fede pubblica, veggasi sciolto e spregiato da’ popoli; l’esempio cominciò da coloro che sopra gli uomini possono per isterminata forza d’imperio e di opinioni. Ferdinando di Napoli e Pio VI maturavano il momento di prorompere, massimamente che udirono tolto a Mantova l’assedio con tanta celerità da’ Francesi che mancò tempo, non che a trasportare, a distruggere le immense artiglierie che munivano le trinciere. Cacault, visti gli apparati guerrieri, dimandò al pontefice, al quale era ministro, i motivi dell’armamento, e n’ebbe risposte lente, ingannevoli. ma nuove protestazioni di amicizia e di pace. Venne in Napoli, e qui, per troppo sdegno meno finto il discorso, udì che la occupazione di Pontecorvo era stata accordata col sovrano del luogo; che se i nemici del papa entrassero ne’ suoi stati, vi entrerebbero per altra frontiera i Napoletani: ma che frattanto rimarrebbe fede all’ armistizio, Cacault, delle risposte dissimulate del pontefice, altiere del re. menzognere di entrambo, avvisò il governo di Francia e ’l generale d’Italia. E si stava in punto delle mosse quando giunse nuova che Bonaparte, visti gli errori di Wurmser, assaltate or l’una or l’al-