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180 LIBRO TERZO — 1798.

vi morisse di vergogna e di dolore; o che scampato, restasse inabile agli offizii, infamato se non d’altro, dalla infamia della pena. Ma rimasto fermo il voto de’ più, la giunta rispose al regale messaggio, essere compiuti i processi, per quanto volevano le leggi, ed avea suggerito l’ingegno e l’arte degl’inquisitori; mancar null’altro che il giudizio; ma essere la giunta nominata solamente ad inquisire.

Il re compose altra giunta, della quale il medesimo Vanni fiscale. I processi, che questi diceva forniti e portava in giudizio, risguardavano ventotto accusati; tra’ quali udivansi nomi chiari per nobiltà, de’ Medici, Canzano, di Gennaro, Colonna, Cassano; ed altri chiarissimi per dottrina, Mario Pagano, Ignazio Ciaja, Domenico Risceglia, Teodoro Monticelli. Il fiscale, riferendo le denunzie, le colpe, le pruove, amplificandole a danno, e tacendo le scuse, dimandava, per cinque la morte, preceduta dai tormenti della tortura, spietati come sopra cadaveri, sia per incremento di supplicio, sia per tirarne altri nomi di complici e di fautori. Al Medici e ad altri tre (que’ medesimi accennati dalla giunta d’inquisizione) la sola tortura, per gli argomenti già riferiti, ed ora con maggior impeto ripetuti. E per i rimanenti diciannove, continuazione di carcere e di procedura, sperando migliori pruove dalle confessioni per tortura, e dal tempo. Parlarono a difesa gli avvocati; e benchè magistrati scelti dal re a quell’uffizio, amanti e devoti alla monarchia, rotti nel discorso e tempestati dal Vanni, sostennero animosamente le parti degli accusati. Giusti furono i giudizi, che ne decretarono la innocenza e la libertà. Usciti del penoso carcere quei ventotto ed altri parecchi, la dimostrata ingiustizia della prigionia, la morte in essa di alcuni miseri e ’l racconto de’ patiti strazii, generarono lamento universale; tanto che il governo per iscolparsene unì il suo sdegno allo sdegno comune, ed indicando il Vanni fabbro di falsità, lo depose di carica, lo cacciò di città, l’oppresse di tutti i segni della disgrazia; il principe di Castelcicala, suo compagno alle colpe, se ne mondò, gravandone il suo amico infelice; il general Acton simulò di allontanarsi da’ carichi dello stato; altri uomini, altre forme si videro nel ministero, ma le cose pubbliche non mutarono. Sgomberate le carceri di alcuni prigioni, ripopolavansi di molti; gli stessi uomini malvagi rimasero potenti; le spie, la polizia, i delatori, non caddero nè scemarono; Castelcicala fu ministro per la giustizia; ed al Vanni passavano in secreto ricchi stipendii e consolatrici promesse.

XXX. In mezzo alle riferite male venture della città, si udì arrivato in Egitto il navilio di Francia, e sbarcati con Bonaparte quarantamila soldati che prendevano il cammino di Alessandria. Palesato il disegno di quella impresa, il napoletano governo si rinfrancò per