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10 vita del colletta.

animo, e alla quale voleva gli altri condurre. Quella sicurezza che appare nel libro, era in ogni sua parola; quel non so che imperatorio ch’è nel suo stile, l’aveva egli da natura impresso nel volto, e in ogni suo portamento: era stile tutto suo, sincero, spontaneo, necessario, nè avrebb’egli mai potuto o scrivere o dir parola che in sè non portasse quella sua impronta. Facondo nella conversazione, dipingeva raccontando, con singolare evidenza, le immagini pronte, felicissime; l’affetto sentito.

Ebbe in Firenze famigliarità intrinseca e continua con due tra più celebrati scrittori d’Italia, è spesso con loro conferiva dell’opera sua, dandogli l’un d’essi consigli sapienti e di grande autorità muniti; e l’altro assistendolo con amore assiduo, e come di cosa propria, nella revisione a’ primi libri, e mostrandogli quelle avvertenze dell’arte della quale egli è maestro, ed era il Colletta digiuno a quel tempo. E questi aderiva ai consigli con deferenza mirabile in tanto suo ingegno, e faceva sue quelle avvertenze: sicuro dall’alterare mai, seguendole, la propria originalità. In quel lavoro di revisione non so, fra tanta bontà e sapienza, qual fosse più esemplare. A questi e ad un terzo suo amicissimo doveva una lettera, premessa alle Istorie, esporre l’intendimento ch’egli ebbe nella composizione, e manifestare alcuni pensieri suoi. Ma quello scritto rimase per morte incompiuto. Trovatolo in abbozzo tra lc sue carte, ci sembra rispondere, quanto per noi si poteva, alle intenzioni dell’autore pubblicando quelle parti che appajono più finite; confidiamo che i lettori ci sapranno grado d’aver loro conservate queste sue parole:

“..... Il narrare de’ suoi tempi scema fede a’ racconti per la opinione universale che lo storico di cose presenti, menato dagli odii e dagli amori, falsifica e svolge la verità. Ma la storia è testimonianza, lo storico dice cose viste o apprese da chi le vide; la condizione di contemporaneo,