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LIBRO TERZO — 1798. 191

spensierato tra que’ precipizii vide giugnere il bisogno di custodire il paese quando stavano le fortezze non preparate, la frontiera nuda, i luoghi forti malamente muniti e guardati. Attese a radunare le genti fuggitive; e veramente con le legioni tornate intere di Damas e Naselli, con altre squadre non comparse alla guerra, e con i molti resti dell’esercito infelice, poteva comporre oste novella, più assai numerosa di quella che a nostro danno apprestava il general Championnet. Il quale in Roma, poi ch’ebbe ristabilito il governo repubblicano, castigati alcuni tradimenti, rialzati con religiosa cerimonia i rovesciati sepolcri di Duphot e di Basville, e dato lode alle geste, breve riposo alle fatiche delle sue squadre, ordinò l’esercito e gli assalti contro il reame di Napoli. Imperava a venticinquemila combattenti in due corpi; uno di ottomila che il generale Duhesme guidava negli Abruzzi, altro di diciasette migliaja comandato da Rey e Macdonald per la bassa frontiera del Garigliano e del Liri; egli medesimo, Championnet, andava con la legione Macdonald. Gli abbondavano artiglierie, macchine, vettovaglie, ragioni, coscienza; solamente scarseggiava il numero, se il valore proprio e la fortuna, lo scoramento e le infelici prove dei contrarii, non avessero agguagliato le differenze. Ogni cosa prefissa, cominciò la impresa, rischievole per le rivoluzioni del Piemonte, le conferenze sciolte in Rastadt, gli armamenti dell’Austria, le poche schiere della repubblica in Lombardia; ma il destino corresse i falli della prudenza.

XXXVII. Il dì 20 del dicembre tutta l’oste francese levossi verso Napoli. 1l generale Duhesme negli Abruzzi andò minaccioso al forte Civitella del Tronto, îl quale in cima di un monte, inacessibile da due lati, fortificato in due altri, avendo bastevole presidio, dieci grossi cannoni, munizioni da guerra, e per la vicina città vettovaglie abbondanti, poteva reggere a lungo assedio, se pure il nemico avesse avuto artiglierie e mezzi per tanta impresa; ma sole armi de’ Francesi erano le minacce ed il grido, giacchè per que’ terreni dirupati, senza strade da ruote e quasi senza sentieri non potevano trasportare a quell’altezza pezzi di bronzo pesantissimi, Ben lo sapeva il comandante del forte; ma timido, e in mezzo a tanti esempii di codardia impunita, dopo diciotto ore d’investimento, chiesto accordi al nemico, si arrese con l’intero presidio prigioniero di guerra. Aveva nome Giovanni Lacombe, spagnuolo, tenente-colonnello agli stipendii del re di Napoli. Avuta Civitella, il generale Duhesme avanzò negli Abruzzi; e, respinte o fugate varie partite di genti d’armi, giunse al fiume Pescara, prima difeso, poi disertato da’ difensori, e subito valicato da’ Francesi. Duhesme facendo mostra di soldati e di artiglierie, sebben di campo, intimò resa alla fortezza dello stesso nome Pescara; e il comandante di lei,