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200 LIBRO TERZO — 1798.

che sono i rappresentanti della città e del regno. Si oppose il vicario; e, inaspriti gli umori, a tal si giunse che la città mandò a lui ambasciata di abbandonare quel potere illegittimo. Si palesava la contrastata autorità negli editti degli uni e dell’altro, contrarii di stile o di scopo: e poichè gli eletti si affaticavano a contenere i tumulti, il vicario a concitarli, diviso il popolo, stavano gli onesti co’ primi, i dissoluti e la plebe col secondo. Tra le quali agitazioni fu visto, il 28 del dicembre, nel lido di Posilipo fumo densissimo, quindi fuoco; e s’intese che per comando del vicario, ubbidiente invero a comandi maggiori, s’incendiavano centoventi barche bombardiere o cannoniere, riparate in alcune grotte di quel lido montuoso. E, giorni appresso, tornando da Sicilia parecchi legni da guerra, si offerse spettacolo più mesto; impercioccchè, a chiaro sole, il conte di Thurn, tedesco a’ servigi di Napoli, da sopra fregata portoghese comandò l’incendio di due vascelli napoletani e tre fregate, ancorati nel golfo. Il fuoco appariva benchè in mezzo al giorno a’ riguardanti per color fosco e biancastro; sì che vedevansi le fiamme, come uscenti dal mare, lambire i costati delle navi, è scorrere per gli alberi, le antenne, le funi catramate e le vele; disegnando in fuogo i vascelli, che poco appresso, cadendo inceneriti, scomparivano. Tacito, mesto, costernato, mirava il popolo; e, sciolto lo stupore, l’un l’altro addimandava: «Perchè quella rovina? Non potevano i marinari napoletani ed inglesi trasportare in Sicilia que’ legni? Sarà dunque vero che bruceranno il porto, gli arsenali, i magazzini dell’annona pubblica? Sarà vero che la fuggitiva regina vorrà lasciare non altro al popolo che gli occhi per vedere la pubblica miseria, e per piangere?» E subito abbandonato il lamento, correndo alle opere, andarono alla casa del comune per dimandare che gli edifizii pubblici fossero custoditi da’ popolani; ma quetaronsi al vedere che numerose milizie urbane già guardavano la città. Gli eletti, al pari del popolo commossi dalla empietà degl’incendii e dal timore di più grandi rovine, consultarono dello stato; proponendo, chi ordinarsi a repubblica per ottenere facile accordo da’ Francesi, chi trattar pace per danaro, chi cercare alla Spagna nuovo re della casa Borbone, e chi (fu questo il principe di Canosa che qui nomino acciò il lettore lo conosca da’ suoi principii) comporre governo aristocratico; essendo le democrazie malvage, e la monarchia di Napoli, per la fuga e gli spogli, decaduta. Fra pensieri tonto varii o non consoni a’ tempi si sperdevano i giorni.

XLII. Così nella città: mentre ne campi l’esercito francese combatteva co’ Borboniani, assalitori continui delle parti più deboli o più lontane, e messa a seco e bruciata la città d’Isernia per aver contrastato il passo al generale Duhesme, preparava l’assedio di Capua; e incontro al quale esercito il general Mack accelerava i restauri