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LIBRO QUARTO — 1799. 217

no. Legge inattesa dichiarò debito della nazione il vuoto de’ banchi, e ne promise il pagamento; con profferta benevola ma non giusta nè finanziera, imperciocchè mancavano le ricchezze a riempiere quelle voragini, ed in tanto moto delle carle bancali, confuse le fila della giustizia, non cerano creditori del fallimento i possessori delle polizze. Per altra legge fu prescritto a’ tributarii di versare subitamente nell’erario del fisco le taglie dovute alla passata finanza, e le correnti; rimanendo intere le imposte pubbliche sino a quando nuovi statuti le ordinerebbero in meglio.

Fu intanto abolita la gabella sul pesce con gradimento de’ marinari della città, che si fecero amici alla repubblica. Ma le abolizioni, nel regno, delle gabelle sul grano e del testatico (indebitamente credute comunali) produssero effetti contrarii; avvegnachè pagando con esse le taglie fiscali, mantener queste, abolir quelle, faceva scompiglio e impossibilità. I tributarii, assicurati dalla legge, negavano gli usati pagamenti; i pubblicani, sostenuti d’ altra legge, li pretendevano; perciò lamenti e discordie nelle comunità.

V. Tra mezzo a’ quali disordini e povertà comparve comandamento del generale Championnet, che donando alla città le somme pattovite per la tregua, imponeva taglia di guerra di due milioni e mezzo di ducati, e di altri quindici milioni su le province; quantità per sè grandi, impossibili nelle condizioni presenti dello stato e nel prefisso tempo di due mesi. Pure il governo, vinto da necessità, intese a distribuire il danno; e non potendo trar norma dagli ordini dell’antica finanza, perchè mancavano tutte le regole della statistica, tassò i dipartimenti, le comunità, le persone per propri giudizii ; ne’ quali prevalendo il maligno genio di parte, si videro aggravate le province più salde alla fedeltà, e gli uomini più tenaci a’ giuramenti. E intanto, per agevolare la tassa, fu dichiarato che in luogo di moneta si riceverebbero a peso i metalli preziosi, cd a stima le gemme; cosicchè vedevasi con pubblica pietà spogliar le case degli ultimi segni di ricchezza, e le spose disabbellirsi degli ornamenti, e le madri togliere a’ bambini le preziosità degli amuleti, e i fregi di religione o di augurio. La gravezza, il modo, la iniquità scontentavano il popolo.

Cinque del governo andarono deputati del disconforto pubblico al generale Championnet; ed il prescelto oratore Giuseppe Abbamonti, parlandogli sensi di carità e di giustizia, lo pregava di rivocare il comando, ineseguibile allora, facile tostochè la repubblica prendesse forza ed impero; ragioni, lodi, lusinghe adornavano la verità del discorso, quando il generale, rompendone il filo, e ripetendo barbaro motto di barbaro antenato, rispose: « Sventure a’ vinti.» Era tra i cinque Gabriele Manthonè già capitano di artiglieria, gigante d’animo e di persona, amante di patria e spregia-