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LIBRO QUARTO — 1799. 233

mas e Manscœur, il naturalista Cordier, altri personaggi di bel nome, e soprattutto il geologo Dolomieu, dotto, chiarissimo. La nave, battuta da tempesta, si riparò in Taranto, confidando nella bandiera e nella pace che in Egitto non sapevasi rotta. Ma caddero quelle fedi, perciocchè dominando in Taranto il Corso Boccheciampe fu trattenuta la nave, ed i Francesi e il Dolomieu, chiusi barbaramente in orrido carcere, ne uscirono per andare prigionieri a Messina; dove prevalendo l’ira di parte al rispetto della umanità e della fama, furono gettati in carcere più doloroso. Dolomieu, venuto per nuova infermità quasi a morte, richiesto al re di Sicilia dal governo di Francia, dalla società reale di Londra, dal re di Danimarca, dal re di Spagna due volte, e dal grido inorridito di tutti i sapienti di Europa, rimase in ergastolo; nè fu libero che per novelle vittorie dei Francesi, tra’ patti di pace con Napoli, nel ventesimo di prigionia; portando malattia sì grave che poco in età non piena di 51 anni.

Altra nove, pure salpata da Egitto, compagna di quella che parlava Dolomieu, colta dalla medesima tempesta si ricoverò nel porto di Agosta, per poi menare in Francia quarantotto tra soldati, uffiziali e amministratori militari, ciechi da malattia presa nel barbaro clima dell’Africa. Nè però quello stato miserevole, nè la riverenza che inspiravano le margini di onore su la fronte ai guerrieri, nè il pensiero che erano arrivati a quel porto travagliati dal mare, sopra nave sdrucita e riposando nella fedeltà dei trattati, bastarono a contenere la ferità degli Agostani che a torme armate sopra piccole barche, assalendo la nave, uccisero spietatamente que’ ciechi e inermi. I magistrati regii non impedirono la strage; nè il re, quando tornò in pace con la Francia, punì gli uccisori, dicendo a pretesto, che ne’ tumulti di popolo i rei confusi agl’innocenti sfuggono le pruove e le pene.

XVII. Tali e tante cose tristissime sapute da’ governanti della repubblica destarono la tardità di quegli animi, che, amanti di quieto vivere, rifuggivano dalle necessità di guerra e di castighi. Increduli alle prime nuove, poi confidenti negli incantesimi della libertà, dicevano che subito e senza l’opera della forza cesserebbero i moti della plebe inquieta perchè ignorante, ma certo pentita e pacifica sol che sentisse i benefizii del nuovo stato; cosicchè più potenti dei soldati e delle artiglierie sarebbero i discorsi, i catechismi, la eloquenza de’ commissarii. Ma finalmente, scossi da’ pericoli, andarono al generale supremo di Francia pregandolo a soccorrere la repubblica dagli sforzi del re antico, secondati da gente, infima invero, ma spaventevole per numero e atrocità. Esauditi, mossero due squadre di Francesi e Napoletani, una per le Puglie, l’altra per le Calabrie; avvegnachè gli Abruzzi, rattenuti dai posti francesi