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240 LIBRO QUARTO — 1799.

loro capo, timido, ignorantissimo, cresciuto in domestica servitù dove non sorge virtù guerriera, o se, natura ne concede il germe, vi si spegne. Tante sventure e tante morti abbattendo l’animo delle parti regie, l’impero e i segni della repubblica tornarono in Puglia temuti e venerati. Ma come Duhesme così Broussier fu richiamato, entrambo implicati da Faypoult nello stesso giudizio di Championnet. Andarono capi di quelle schiere i generali Olivier e Sarraziu, con ordine di non avanzare nell’ultima provincia e tener le squadre così disposte da ridurle in Napoli al primo avviso.

Avvegnachè il generale Macdonald sospettava di non rimanere nella bassa Italia mentre nell’alta l’esercito francese precipitava di sinistro in sinistro. Erano mossi gli Austriaci e indietro i Russi; la battaglia di Magnano combattuta lungamente, sebbene grave a’ Tedeschi, avea forzato i Francesi, lasciato l’Adige, ad accampar dietro al Mincio, indi all’Oglio. Mantova investita, Milano minacciata; l’esercito di Scherer ridotto a trentamila combattenti, a petto di quarantacinque migliaja di Tedeschi e d’altre quaranta migliaja di Russi che succcedevano; gli eserciti francesi del Piemonte, di Toscana e di Napoli, lontani dalla Lombardia per guerre ingloriose contro de’ popoli. Così stavano le cose nella Italia, mentre i Turchi e i Russi, già espugnata Corfù e prese le isole Ionie e le già venete, volgevano alle marine italiane quaranta navi da guerra e trentadue mila soldati; e la plebe d’Italia odiando i Francesi perchè stranieri, portanti novità, e predatori, secondava i nemici loro, aspettando miglior libertà da genti del settentrione e da Turchi.

Peggio nello interno andavano le cose, avvegnachè nelle province, all’infuori della Puglia, le parti borboniane crescevano di forza e di ardire. Pronio e Rodio avevano restituite allo imperio dei re presso che tutte le città e terre degli Abruzzi; evitando gli scontri de’ Francesi, lasciandoli padroni e sicuri dove accampavano, ma tutto intorno rivolgendo i popoli di affetto e di governo. Mammone occupava Sora, Sangermano, e tutto il paese che bagna il Liri. Sciarpa, dominando nel Cilento, minacciava le porte di Salerno. E sopra tutti il cardinale Ruffo procedendo dall’ultima Calabria contro la città di Corigliano e Rossano, distaccò i capo-banda, Licastro sopra Cosenza, Mazza su Paola; sole città di quella provincia che tenessero ancora per la repubblica. Paola cadde, i partigiani di libertà si ripararono in Cosenza; a Cassano e Rossano furono dati per largo prezzo miseri accordi; sola Cosenza resisteva. Dirigeva le milizie un de Chiaro, eletto capo perchè ardentissimo di libertà; tremila Calabresi gli obbedivano; e la città benchè aperta, era munita da trincere, qua da case o poggi fortificati, e nel più vasto giro, dal fiume Crati, il quale con due rami quasi l’abbraccia e circonda: le armi, le vettovaglie, i proponimenti abbondavano.