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248 LIBRO QUARTO — 1799.

ministro delle finanze mostrò grosso fascio di fedi bancali (un milione e seicentomila ducati), che in tanta povertà dello stato e in breve tempo la parsimonia della repubblica avea raccolto per iscemare di altrettanto il debito nazionale; le quali carte, gettate in quel rogo preparato da brama di vendetta, bruciarono per miglior divisamento. E finalmente, chiamati i prigionieri intorno all’albero, il ministro per la giustizia lesse decreto del direttorio, che dicendoli sedotti, non rei, offeriva a’ già soldati gli stipendii della repubblica, e faceva salvi i borboniani; cosicchè sciolte le catene, succedendo alla profonda mestizia gioja improvvisa, correvano quasi folli tra ’l popolo gridando laudi e voti per la repubblica; e gli astanti, affin di accrescere quelle allegrezze, soccorrevano la loro povertà esortandoli a riferire agl’ingannati concittadini la forza e la magnanimità del governo. Così ebbe fine la cerimonia; ma la festa durò lunga parte del giorno, danzando intorno all’albero, cantando inni di libertà, e stringendo, come in luogo sacro, parentadi ed accordi.

Quelle mostre di felicità furono brevi e bugiarde; però che al giorno seguente molte navi nemiche, bordeggiando nei golfo, davano sospetto che volessero assaltare la città per concitar tumulti nella plebe; così il governo comandò fossero armate le poche navi della repubblica, ristorate le batterie del porto, ed altre sollecitamente costrutte. Non appena divolgato il pericolo ed il comando, andarono i cittadini volontarii all’opera; e furono viste donne insigni per nobiltà, egregie per costumi, affaticare a quel duro lavoro le inusitate braccia, trasportando per parecchi giorni e sassi e terre; fu quindi il porto ben munito. Ed allora il nemico volse a Procida ed Ischia, isole del golfo, vi sbarcò soldati, uccise o imprigionò i rappresentanti e i seguaci della repubblica, ristabilì il governo regio, e creò magistrati a punire i ribelli. Si udirono le più fiere condanne, e il nome del giudice Speciale, nuovo, ma che subito venne a spaventevole celebrità.

XXVII. Giungevano fuggitivi alla città gli abitatori di quelle isole a pregare ajuti; e i repubblicani, più magnanimi che prudenti, stabilirono con pochi legni e poche milizie combattere il nemico assai più forte. Stava in Napoli, tornato con permissione dei re da Sicilia, l’ammiraglio Caracciolo, di chiaro nome per fatti di guerra marittima e per virtù cittadine; ebbe egli il comando supremo delle forze navali, ed il carico di espugnare Procida ed Ischia. Sciolsero dal porto di Napoli i repubblicani lieti all’impresa benchè tre contro dieci; e valorosamente combattendo un giorno intero, arrecarono molte morti e molti danni, molti danni e morti patirono; e più facevano, e stavano in punto di porre il piede nella terra di Procida, quando il vento che aveva soffiato contrario tutto il dì, infuriò nella sera, e costrinse le piccole navi della repubblica a tornare in porto;