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LIBRO QUINTO — 1799. 277


Non appena finita la causa detta della marina, si aprì quella della città. Carichi gravi sì addossavano a que’ nobili: disobbedienza al vicario del re; usurpato impero; nuovo governo sul decadimento della monarchia e della casa de’ Borboni; impedimenti al popolo nel difendere la città; ajuti alle armi nemiche; molte fellonie in un fatto, Era tribunale in quel giudizio la stessa giunta di stato, aggrandita di alcuni giudici straordinarii, scelti dal re tra magistrati di alto grado e suoi ministri; lo stesso il procedimento, nè variavano le pene. La intera nobiltà tremava; che sebben fossero intorno a venti gli accusati, erano timorosi per legami di sangue innumerevoli. Avevano in difesa i privilegi antichi; gli assalivano i fatti presenti ed i tempi. In cinque giorni fu spedito il giudizio; dal quale pochi andarono liberi, molti puniti di prigionia o di confino su l’isole della Sicilia, un solo condannato a morte, il duca di Monteleone, personaggio illustre in Europa, in America, ricco oltre i termini di privata fortuna, marito, padre, venerato per qualità di animo e di mente. E tal uomo dal carnefice moriva se lettere del papa Pio VI, preghevoli al re, non avessero impetrata grazia ed ottenuto che mutasse la morte in prigionia perpetua nell’isola di Favignana. Andarono alla pena i condannati, e tra loro il giovine principe di Canosa, dichiarato fellone perchè propose, come altrove ho riferito, il mutamento del principato in aristocrazia; tre degli otto giudici, più severi lo punivano di morte; gli altri benigni, perdonando la inezia del voto, lo castigarono di soli cinque anni di carcere.

La giunta de’ generali preseduta dal luogotenente generale de Gambs, e i consigli detti subitanei, e i visitatori nelle province, gareggiavano a rigor di condanne con la giunta di stato, e ne erano vinti; non che avessero sensi più miti di giustizia, ma perchè i principali tra colpevoli erano affidati alla certa perfidia della prima giunta. Coi processi di sangue processi minori si espedivano, condannando alle prigioni, al confino, ed in grande numero all’esilio; vedevi fra gli esiliati vecchi infermi e cadenti, giovanetti o fanciulli che non passavano l’età di dodici anni, donne matrone e donzelle; e tutta questa innocenza castigata, chi per aver tagliata la coda dei capelli o cresciuti i peli del mento, chi per avere assistito a repubblicana cerimonia, le donne per avere accattato limosine ai feriti ed agli infermi. Nè mancò in tanta licenza di pene la spinta degli odii o delle avarizie private, mandando in esilio, sotto pretesto di ragione di stato, il nemico, il creditore, l’emulo, il rivale; per lo che si tollerarono traditori o spie i servi, le domestiche persone, gli amici, i congiunti, il fratello, la moglie. I costumi già fiaccati dalle condizioni antiche del regno e dalle più recenti narrate nei primi libri di queste istorie, caddero affatto in quell’anno 1799