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LIBRO QUINTO — 1800. 289

che di pietà, alla favorita colonia di Santo Leucio, e, da magnanimo e re buono, alla sua famiglia; lo propagò in Sicilia ed in Malta, e rendendo lodi e grazie al Marshall, lo accommiatò ricco di doni e di onori. Eppure verità, ragione, esperienza, comando e naturale amore della prole, non bastano ancora (e sono corsi trent’anni) a vincere l’errore di molte madri e padri, schivi alla vaccina perchè falsa religione la susurra all’orecchio come peccato.

XV. Nel cominciare dell’anno 1800 si annebbiarono le felicità dei re d’ Italia e d’Alemagna, però che la Francia, sentito l’impero di Bonaparte, confidando nel gran nome e nel grande ingegno, ripigliò animo e forza. Coscritto nuovo esercito in Dijon, dove abbondavano uomini ed armi; le sponde del Varo tornate libere; le milizie piemontesi e russe fermate in Savoja; ricomparsi nella Svizzera e lungo il Reno i vessilli della repubblica; l’Europa ravvisò il braccio immenso, che sospeso in alto aspettava l’opportunità di percuotere. Il governo di Napoli quanto più spietato tanto più timido, non appieno satollo di vendette (come tra poco mostrerò) nascose lo sdegno, e per editto appellato indulto, il giorno del nome del re, 30 di maggio nel 1800, rimise le passate colpe di stato, dicendo essere tempo di riposo; bramare che i soggetti fossero come figli suoi, tra loro fratelli; perciò sospendere e cancellare i giudizii di stato, vietare le accuse, le denunzie, le inquisizioni per officio di magistrato, e insomma, perdonare, obliare, rimettere i delitti di maestà. Ma prudenza di regno volendo alla misericordia certi confini, escludere dal perdono i fuggitivi, i giudicati, molti tra i prigioni, e coloro che per alta provvidenza e pubblico bene la polizia tratteneva nelle carceri. A nessuno per quelle grazie tornar diritto ai perduti officii, derivando la loro liberazione non da giustizia ma da clemenza del principe.

Sembrando l’editto il termine delle persecuzioni, il pensiero volto addietro misurò l’ampiezza delle patite sventure. Quanti ne morissero nelle guerre civili e nel tempo senza leggi che più o meno tollerò qualunque città o terra, non fu, per avvedutezza del governo, computato; i fuggiti montavano a tre migliaja, i cacciati in esilio a quattromila, i condannati a prigionia a parecchie centinaja, assai più alla morte, de’ quali centodieci nella sola città capo del regno. Rimanevano dopo il perdono altri mille nel carcere e nel pericolo, ma pure settemila o più uscirono liberi. Fu maggior benefizio scegliere capo della polizia il duca d’Ascoli, nuovo agli officii dello stato; ma poichè nobile d’animo come di lignaggio il pubblico ne sperava, e ne ottenne giustizia verso i buoni, severità su la plebe tumultuante ancora e ricordevole dei guadagni del 99, già sperduti nei vizii e nella crapula. Quel reggente {così fu chiamato dal nome antico) puniva i soli lazzari con le battiture, pena

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