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20 LIBRO PRIMO — 1700.

cipi e regno trenta romani pontefici da Alessandro VI a Clemente XI. Si ebbe gran numero di vicerè, de’ quali alcun buono, molti tristi, parecchi pessimi. Il dominio della casa austriaca spagnuola finì per la morte di Carlo II nell’anno 1700; ed în quello ha termine la storia di Pietro Giannone, uomo egregio, molto laudato, e pur maggiore di merito che di fama. Ed io, non che presuma di paragonarmi a quell’alto e sfortunato ingegno, come nemmeno raccomandarmi per simiglianza di sventure, ma solamente per congiungere ai termini di quella istoria i principii della mia fatica, dirò più largamente le cose del vicereale governo dal 1700 al 34, cominciamento al regno di Carlo; desiderandomi lettori già dotti ne’ libri del Giannone, così che mi basti rammentare talvolta de’ vecchi tempi quanto sia necessario alla intelligenza dei fatti che descriverò.

III. Al finire del 1700 Filippo V ascese al trono di Spagna e a’ dominii di quella corona per testamento del morto re Carlo II. Ma contrastando il trono a Filippo l’imperatore Leopoldo, si apprestavano gli eserciti a decidere la gran lite. Il vicerè in Napoli Medinaceli gridò re Filippo V: il popolo vi fu indifferente; i nobili amanti dell’Austria, avversi alla casa di Francia, un figlio della quale, duca di Angiò, era Filippo, si addolorarono. Ma venne a consolarli di speranze la guerra di Lombardia dove gli eserciti imperiali erano più fortunati, e il capitano principe Eugenio riempiva del suo nome e delle sue geste i discorsi d’Italia. Fu quindi spedito all’imperatore Leopoldo don Giuseppe Capece, ambasciatore secreto della nobiltà napoletana, la quale, promettendo levare il popolo, esigeva da Cesare per patti: spedir solleciti ajuti d’armi, mutare lo stato da provincia a regno libero, dargli re, Carlo arciduca. Mantenere i privilegi acconsentiti da passati príncipi, fondare un senato di cittadini consigliero negli affari di regno, sostenere le antiche ragioni della nobiltà, concedere nuovi titoli e terre a’ congiurati. E ciò concordato, tornò in Napoli a riferire quelle pratiche, e ad ordire la non facile impresa.

IV. Vennero nel tempo stesso, fingendo cagioni oneste, don Girolamo Capece e ’l signor Sassinet da Roma; don Iacopo Gambacorta principe di Macchia da Barcellona; il Capece colonnello nelle milizie di Cesare, il Sassinet segretario dell’ambasciata imperiale presso il papa, il Gambacorta giovine pronto, loquace, povero, ambizioso, con le qualità più eminenti di congiurato, per lo che fu capo e diede alla congiura il suo nome di Macchia (1701). Era il mezzo di settembre quando, computate le opere e i tempi, si prefisse primo giorno della impresa il dì 6 di ottobre. Uccidere il vicerè, occupare i castelli della città gridar re il principe Carlo figlio dell’imperatore Leopoldo. opprimere le poche spensierate milizie spagnuole, reggere lo stato sino all’arrivo dei promessi da Cesare soc-