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312 LIBRO QUINTO — 1803.

elettirica. Assisteva in quella scuola giovane di mala ambizione. che sperò merito ed impiego dal denunziare che il maestro al dì vegnente avrebbe mostrato come espugnare la fortezza di Santelmo co’ soli mezzi della chimica; e creduto da ignavo magistrato di polizia, la scuola è assalita in atto degli esperimenti; imprigionati col maestro i discepoli, prese le macchine, e indicato a prova di fellonia il castello elettrico. E la ignoranza o malvagità progredì tanto che fu aperto il processo, e i prigionieri non furono liberi innanzi il quinto mese, quando già nel regno tornava il presidio francese. Era tra quelli un giovinetto Cianciulli, che appena finiva il dodicesimo anno di età, e seco il precettore.

Frattanto numerose bande di assassini, già guerrieri della santa fede tornati poveri e scioperati, correvano in armi le province; ed unendosi a duecento e più, fuggiti dalle carceri dell’Aquila, ponevano a ruba, pubblici ladri, le case di campagna od i villaggi mal cusloditi. Colonne poderose di soldati gl’inseguivano alla pesta; disordini e spese quando l’erario era vuoto di danari; avvegnachè, dopo lo spoglio de’ banchi e le taglie dell’esercito francese e i guasti dell’anno 99, bisognò sostenere in Roma un esercito, e provvedere alla spedizione di Toscana, all’assedio di Malta, e pagare i patti della pace di Firenze, e alimentare il presidio francese nelle Puglie, e satollare l’avarizia de’ diplomatici stranieri, e sborsar dote per le nozze della principessa, e mantenere tre reggie e tre corti, una in Napoli del principe Francesco, l’altra in Sicilia del re, la terza in Vienna della regina. Ma pure la finanza lungo tempo resistè, per prestiti rovinosi e per le arguzie del ministro D. Giuseppe Zurlo, che trasandando leggi, regole, giustizia, utilità del fisco, utilità dello stato, schermivasi come disperato tra le tempeste, e solamente inteso a schivare il naufragio. Erasi indebilato co’ negozianti della città, con gli esattori delle taglie, con le casse di deposito, co’ civili stipendiati, con l’esercito, con la stessa borsa del re: e a tali stremità pervenne che involò dal procaccio le somme (poco più di dodicimila ducati) che venivano a cittadini privati e bisognosi. Egli per certo tempo quietava i creditori con le promesse o con le ricompense di altri interessi e d’impieghi pubblici; ma caduto alfine il credito, la fede, la pazienza, si levarono lamentanze infinite, e nelle rovine dell’erario rovinò il ministro.

Il re, proclive alla collera, lo dimise con onta; ed egli tornava in patria, piccola terra di Molise, povero, creditore del suo stipendio di molti mesi, e debitore agli amici del suo stretto vivere, nella carica sublime di ministro. Tra via fu rivocato in Napoli, dove andò chiuso nelle carceri del Castelnuovo; ma poco appresso, esaminata da ragionieri l’amministrazione del denaro pubblico, fu trovata sregolata ma sincera; i disordini quando comandati, quando neces-