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LIBRO QUINTO — 1803. 313

sarii; ed il ministro veramente colpevole di tenere uffizio dov’era impossibile il successo. Ebbe pensione dal re di tremila ducati all’anno e ristoro di fama, ma taccia d’incapacità negli uffizii che richiedono misura, ordine e severo adempimento di regole e di leggi. Abolito il ministero e ricomposto il consiglio di finanza, il re nominò vice-presidente il cavalier dei Medici, lo stesso palleggiato poco innanzi tra favori e disgrazie della corte; ma oggi l’emulo suo general Acton, giunto a vecchiezza, sazio di fortune, stanco di brighe, marito e padre, non più impediva il Medici, divenuto uomo comune, da che perdè il prestigio dell’ammirazione e della novità; e la regina matura d’anni, travagliata sul trono, dedita a’ gravi pensieri di regno, non più curava le arti e gli studii de’ cortigiani a piacerle. Niente dimostra meglio l’umana piccolezza che la scena di uno corte dove si vedono ardenti passioni e nefandi delitti per tali cose che in breve mutar di tempo e di condizioni fanno riso e vergogna.

Il consiglio di finanza per nuovi provvedimenti salvò l’erario del fallire; vero è che le tre corti per la unione de’ principi si erano strette in una, e le spese maggiori già fornite, le minori scemate, accresciute le taglie, ristorato il credito. Si mostrò per la prima volta l’ingegno del Medici nell’azienda pubblica, e fino d’allora diede sospetto, quindi avverato, ch’ei fosse miglior banchiere che finanziere, cioè più adatto a maneggiar le ricchezze che a crearle. Liquidato il debito de’ banchi, si addissero al pagamento i beni detti dello stato, poi quelli della chiesa, e in ultimo le doti degli stessi banchi; niente fornirono i beni della corona e gli assegnamenti ricchissimi della casa; chi spogiiò i banchi, di nulla gli ristaurò.

XXV. Non appena risurte per la pace e per gl’interni provvedimenti le speranze di miglior vita civile, si udì che la Inghilterra, prima ritrosa quindi manchevole a’ patti d’Amiens, ritenendo l’isola di Malta, denunziava nuova guerra alla Francia. Il primo console, capitano invitto e capo di popolo non restio alle armi, accettò la disfida, sì che d’ambe le parti si apprestavano eserciti e disegni. Schiere francesi posero campo sopra le coste di Boulogne, minacciando la Inghilterra di impresa difficile e sanguinosa, ma non finta nè impossibile; altre schiere, le medesime che avevano sgombrate le Puglie, le rioccuparono riversando sul regno spesa e pericoli. L’ordine di Malta, compagno agl’Inglesi ne’ travagli dell’assedio, salito a speranza di signoria per il trattato d’Amiens, ed oggi deluso, cercò altro asilo, e l’ottenne dal re di Napoli a Catania, città della Sicilia. Perciò in Messina l’eletto dal pontefice gran maestro Tommasi, e buon numero di bali e di cavalieri, celebrarono le solennità di ristabilita signoria; e, nominati gli uffizii, ricomposero il governo come in antico, ma perduta la potenza e le sedi proprie.