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314 LIBRO QUINTO — 1804.

Quindi splendido navilio e convoglio per terra condussero l’ordine intero nelle nuove stanze di Catania, dove pareva che fermasse; ma più grandi speranze e disinganni gli erano destinati, però ch’egli moriva necessariamente dalle cambiate costituzioni di alcuni regni e dalla migliorata civiltà, benchè apparisse che lo percuotevano la guerra e la forza.

Le ostilità tra la Francia e la Inghilterra proruppero come nelle private nemicizie ad alti vili e nefandi; non vergognò il governo inglese di congiurare con piccol numero di fuggitivi francesi la morte di Bonaparte; nè Moreau, generale chiarissimo francese, si ritenne dal consentire alle pratiche inique de’ congiurati, mentre stava in Ettenheim prossimo al Reno il duca d’Enghien di regio sangue, preparato ad entrar con le armi nella Francia. Ma palesate le trame, condannati i colpevoli altri alla morte, altri all’esilio, tra quali Moreau; il giovine Enghien sicuro in terra neutrale, sorpreso di notte da mano potente di gendarmi francesi, e menato in Francia, per iniquo giudizio militare fu messo a morte. Crebbe il primo console in potenza, scemò in fama; nè bastò ingegno proprio e di altrui ad onestare la mal’opera, che andrà sempre odiosa compagna con le grandezze della sua vita. Vero è che altri nomi si udirono avvolti nelle stessa infamia, tra i quali si tacciava il generale Murat governatore a Parigi; ma il tempo chiaritore delle dubbie cose, accumulò tutte le colpe sul consolo e su gli ultimi esecutori, che per bassezza scomparendo dalla istoria, lasciano nella brutta scena lui primo e solo.

Il quale, volgendo a sua fortuna i pubblici eventi o buoni o tristi, tolse da que’ pericoli argomento di assodare con le constituzioni dello stato la sua possanza, e richiedente in segreto, richiesto in pubblico dal senato, fu imperatore per voto unanime del popolo francese. Allora la repubblica mutò in signoria, e senza i freni che pure il secolo conosceva, sicchè novello trono ereditario ed assoluto, quasi uguale (non ancora ne’ frutti ma ne’ germi) a quello che il popolo sotto immense rovine aveva sepolto, oggi il popolo stesso, vago, leggiero, innalzò ed obbediva; compiendo nel giro di pochi anni ciò ch’è vicenda di secoli per altre genti. Alla incoronazione in Parigi del nuovo imperatore andò invitato il pontefice Pio VII, con pompa degna del grado e della cerimonia; biasimato dagl’insipienti, laudato dai dotti della politica romana, perciocchè la consecrazione e legittimazione dell’impero dalla mano della chiesa ricordava i tempi della maggiore potenza papale; e scemava la sovranità del popolo, e la pienezza delle ragioni del principe eletto. Fu dunque un atto nocevole a Bonaparte, e il primo che lo respingesse a quella antichità che dovea distruggerto. Ma pure il popolo applaudiva, contento sotto braccio tanto forte di far sicuri