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32 LIBRO PRIMO — 1734.

meno rei di Guglielmo il Buono, di Federigo II e di Manfredi congregandosi a parlamento la baronìa, il clero, i maggiori di ogni città, si statuivano le somme da pagarsi al fisco; ma quelle pratiche civili, già decadute sotto gli Angioini ed Aragonesi, cessarono affatto nell’avaro governo vicereale, che a ragione temeva le adunanze degli uomini e de’ pensieri: o se talvolta i reggitori commettevano a’ Seggi della città di proporre le nuove taglie, era scaltrezza per evitare i pericoli e l’onta dell’odiosa legge. Poste tutte le gravezze, nè però satollata l’avidità o provveduto a’ bisogni, si venne a’ partiti estremi, sperdendo i beni del demanio regio, dando a prezzo i titoli di nobiltà e le magistrature, infeudando le città più cospicue, ipotecando le future entrate del fisco, o alienandole come quelle dette con voce spagnuola arrendamenti.

XIV. Non meno della finanza era mal provvista l’amministrazione de’ beni e delle entrate comunali, che per le costituzioni di Federigo II, perciò sin da tempi antichissimi, affidavasi ad un sindaco e due eletti, scelti dal popolo in così largo parlamento che non altri erano esclusi dal votare fuorchè le donne, i fanciulli, i debitori della comunità, gl’infami per condanna o per mestiero. Si adunava in certo giorno di estate nella piazza, e si facevano le scelte per gride, avvenendo di raro che bisognasse imborsar più nomi per conoscere il preferito. Libertà, che non eguale alle altre regole di governo e superiore a’ costumi del popolo, trasmodava in licenza e tumulti. Due sole amministrazioni si conoscevano, di municipio e di regno: le innumerevoli relazioni di municipio a municipio, a circondario, a distretto, a provincia, erano trasandate o provvedute per singolari arbitrarie ordinanze. L’amministrazione del regno non avendo codice che desse moto, norma o ritegno alla suprema volontà, mancava quell’andar necessario per leggi che è certo cammino e progresso alla civiltà. Perciò le opere pubbliche erano poche, volgendosi a profitto dell’erario il denaro, che ben regolato regno spende per comune utilità: le sole nuove fondazioni erano di conventi, di chiese, di altri edifizii religiosi, ovvero monumenti di regio fasto. Quindi le arti, poche e meschine: una la strada, quella di Roma; piccolo e servo il traffico di mare cogli esterni, nullo quello di terra, i fiumi traboccanti, i boschi cresciuti a selvatiche foreste, l’agricoltura come primitiva, la pastorizia vagante, il popolo misero e dicrescente.

Solamente per circolo inesplicabile dell’umano intelletto, risorgevano fra tanta civile miseria le lettere e le scienze, nè già per cura del governo, che in questa come nelle altre utili opere stava ozioso ed avverso, ma per accidentale (se non da Dio provveduto) simultaneo vivere d’uomini ingegnosissimi. Domenico Aulisio, Pietro Giannone, Gaetano Argento, Giovan Vincenzo Gravina, Nicola