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LIBRO PRIMO — 1734. 39

privilegi alla città ed al reame, promettere d’ingrandirli; abolire le gravezze del governo tedesco, scemar le altre; reggere lo stato da padre; sperare ne’ popoli ubbidienza ed amore di figli. Nelle promesse di Filippo giurava Carlo, e soggiungeva che le discipline ecclesiastiche durerebbero con le stesse buone regole di governo, e che nessun altro tribunale sarebbe stato aggiunto a’ presenti. Così svaniva i sospetti dell’abborrita inquisizione, e secondava gl’interessi della numerosa classe de’ curiali. L’editto di Filippo era del 7 di febbrajo dal Pardo; quello del figlio del 14 di marzo da Civita-Castellana.

L’esercito spagnuolo, passata senza contrasto la frontiera del Liri, stette un giorno ad Aquino, tre a san Germano. Gli Alemanni, fermate le idee della guerra, attendevano alle sole fortezze o castelli, accrescendone le armi, le vettovaglie, i presidii: il conte Traun con cinquemila soldati teneva le trinciere di Mignano: il vieerè, tirando dallo stato nuovi denari, aspettava con tormentosa pazienza gli avvenimenti futuri. Quello che seguì nella notte del 30 di marzo accelerò la fortuna dell’esercito spagnuolo, i precipizii dell’altro. Montanari di Sesto, piccola terra, esperti delle foreste soprastanti a Mignano, offrirono al duca d’Eboli, capo di quattromila Spagnuoli, di condurli sicuri e inosservati al fianco ed alle spalle delle linee tedesche. Accettata l’offerta, promesse le mercedi, minacciate le pene, grudilero gli Spagnuoli al disegnato luogo; e ne avvisarono il conte di Montemar, acciò ad ora prestabilita fosse assalito il campo nemico alla fronte, al fianco, alle spalle: il cannone di Montemar darebbe segno di muovere al duca d’Eboli. Ma una vedetta di Alemanni scoprendo quelle genti, nunzia frettolosa riferì al Traun i luoghi, i campi e il numero dei nemici maggiore del vero. Il generale tedesco che credeva inaccessibili que’ monti, ora, per nuovi esploratori, accertato delle narrate cose, disfece il campo, chiodò le gravi artiglierie, bruciò i carretti, e nella notte trasse le schiere dentro la fortezza di Capua, abbandonando, ne’ disordini del fuggire, altri cannoni, bagagli ed attrezzi che furono preda del duca d’Eboli, il quale ai primi albori, viste le trincee deserte, discese dal colle e mandò al duce supremo il lieto avviso. Al vedere il conte Traun fortiticarsi a Mignano senza rendere impenetrabili le soprastanti foreste, e lasciar libera la via degli Abruzzi per Venafro, poco guardata Sessa, nulla Mondragone: e nell’opposta parte al vedere il conte Montemar trasandare le quattro facili strade e disporre l’esercito ad assaltare la fronte del campo, convien dire che il nome di buon capitano era più facile ne’ tempi addietro che ne’ presenti.

Divolgate in Napoli ed accresciute dalla fama e dall’amor di parte le venture di Mignano, e rassicurata la insolenza plebea,