Pagina:Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825 I.pdf/52

Da Wikisource.
42 LIBRO PRIMO — 1734.

Cesare, un esercito d’imperiali campeggiava le Puglie, le maggiori fortezze del regno guardate da numerosi presidii e da capitani onorati difendevano la bandiera e il dominio dell’Impero: abbondanti rinforzi sperava il vicerè, e già seimila Croati si dicevano in punto di arrivare a Manfredonia: i popoli, ora partigiani de’ Borboni, muterebbero con la fortuna. Erano prospere a Carlo le condizioni di regno, non certe. Perciò il conte Montemar, visitati e stretti i blocchi di Capua e di Gaeta, marciò con nuove schiere verso Puglia, ed unendosi al duca d’Eboli compose un esercito di dodici mila soldati, fanti e cavalieri, ajutati da molte navi che radevano i lidi, ora più lente ora più celeri come in terra l’esercito. E l’Infante nel tempo stesso, adoperando arti civili, chiamò con editto tutti i baroni del regno a giurar fede al nuovo impero; prefisse i tempi, minacciò le pene a’ trasgressori. E giorni appresso, il 15 di giugno dell’anno 1734, fece pubblico il decreto di Filippo V che cedeva le sue ragioni antiche e nuove su le Sicilie, unite in regno libero, a Carlo suo figliuolo, nato dalle felici nozze con Elisabetta Farnese, il qual nuovo re si fece chiamare Carlo per la grazia di Dio re delle due Sicilie e di Gerusalemme, infante di Spagna, duca di Parma, Piacenza e Castro, gran principe ereditario della Toscana. E disegnò le armi, annestando alle nazionali delle due Sicilie tre gigli d’oro per la casa di Spagna, sei di azzurro per la Farnese, e sei palle rosse per quella de’ Medici. Si ripeterono le feste civili, le ecclesiastiche, e il re ne aggiunse altra popolare, la coccagna, macchina vasta raffigurante gli Orti Esperidi, abbondanti di grasce donate alla avidità e destrezza di popolari; perciocchè i luoghi erano aperti, ma intrigati, e la presa difficile. Carlo dall’alto della reggia giovenilmente godeva i piacevoli accidenti della festa, quando la macchina mal congegnata, caricata di genti, repentinamente in una parte precipitò, tirando nelle rovine i soprastanti e opprimendo i sottoposti. Molti morirono, furono i feriti a centinaja; la piazza si spopolò: Carlo con decreto vietò simili feste all’avvenire.

XXV. Primo atto del sovrano potere fu il creare Bernardo Tanucci ministro per la giustizia. All’arrivo in Puglia dell’esercito spagnuolo, il vicerè intimidito e veramente inutile alla guerra montò in nave e partì seco traendo il general Caraffa, accusato dal conte Traun, e chiamato a Vienna dall’imperatore per patir biasimo e pene; mercede indegna al buon consiglio dato e non accolto. Il principe Belmonte restò capo degli Alemanni, ottomila soldati, avventicci più che ordinati, varii di patria e di lingua, nuovi la più parte alla disciplina e alla guerra. Il qual Belmonte, dopo aver campeggiate la Basilicata e le Puglie, pose le stanze in Bari per più comodo vivere, non per avvedimento di guerra; avvegnachè nessun’opera forte aggiunse alle mura di quella città, ed all’ap-