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LIBRO PRIMO — 1735. 51

ma facendo alla spicciolata, ei ne diede una dodicesima, più adatta invero alle circostanze del popolo, ma imperfetta e incompiuta quanto le precedenti. Non osò abbattere i trovati errori: la feudalità, la nobiltà, le pretensioni del clero, i privilegi delle città, erano intoppi attorno a’ quali si aggiravano i provvedimenti per restringere o confinare i mali pubblici, che maggior sapienza o ardire avrebbe distrutti. Vero è che l’ingegno della nostra età usato alle sovversioni degl’imperii ed a’ maravigliosi fatti della civiltà, misurando il passato con le ampiezze del presente, dice mediocri le geste ch’erano grandi ne’ secoli decorsi: così come la posterità, leggendo le nostre istorie, e vedendo facili a lei i successi contro a’ quali questa età vanamente cozzò, dirà infingardi e timidi noi, che pure in politica peccammo di volere e osar troppo.

La giurisprudenza civile non mutò. Le leggi criminali variarono; ma dettate ad occasioni, e nello sdegno per delitti più frequenti o più crudeli, non serbavano le convenienti proporzioni, così che mancava la giusta e sapiente scala delle pene. Il procedimento civile di poco migliorò, erano sempre confuse le competenze, e sempre necessaria a sciorre i dubbii l’autorità del principe: i ministri aggiunti, i rimedii legali, tutti gli arbitrii del vicereale governo duravano. Il supremo consiglio d’Italia fu abolito: il collegio Collaterale cangiò in consiglio di stato: gli altri magistrati rimasero come innanzi, perchè il re aveva giurato non mutarli. Di nulla migliorò il procedimento criminale; restando in uso ii processo inquisitorio, gli scrivani, la tortura, la tassazione degl’indizii, le sentenze arbitrarie, il comando del principe.

I difetti che ho toccato, e che in più opportuno luogo descriverò, cagionarono che i delitti nel regno di Carlo fossero molti ed atroci: nella sola città di Napoli numerava il censo giudiziario trenta mila ladri: gli omicidii, le scorrerie, i furti violenti abbondavano nelle province, gli avvelenamenti nella città, tanto che il re creò un magistrato, la Giunta de Veleni, per discoprirli e punirli. Prevalevano in quel delitto le donne, bastandovi la malvagità de’ deboli; come piace alla nequizia de’ forti l’atrocità scoperta.

XXXI. Tali erano i codici. Carlo per paci e trattati con lontani regni ben provvide al commercio. Fermò concordia con l’impero ottomano; e per essa e per la riputazione del re cessarono le nemicizie co’ Barbareschi. Fece nuovi patti di commercio e navigazione con la Svevia, la Danimarca, la Olanda: è gli antichi rinovò con la Spagna, la Francia, la Inghilterra. Nominò tanti consoli quante erano le vie del nostro commercio; raccogliendo in una legge le regole del consolato, cioè podestà e diritti verso i nazionali, obblighi è ragioni verso gli esteri. Formò un tribunale di commercio, di otto giudici (tre magistrati, tre baroni esercitati alle materie commer-