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54 LIBRO PRIMO — 1738.

sessore delle due Sicilie, tutte le fortezze espugnate, sparite le insegne dell’impero, preparata la sua coronazione nella metropoli di Palermo, spedì ambasciatore al pontefice il duca Sforza Cesarini con la chinea e la somma di settemila ducati d’oro. tributo de’ re di Napoli. Il giorno stesso il principe di Santa-Croce ministro imperiale, offrì al pontefice il medesimo censo. La quale gara di obbedienza era finezza de’ due re per ottenere, in argomento delle proprie ragioni sul contrastato regno, il suffragio del papa. Ma la guerra d’Italia era viva e dubbiosa; la chinea dell’infante una novità, quella di Cesare un uso: non potevasi accettar la prima senzat pontificale manifesto, bastava per la seconda il silenzio; e fu accettata. Carlo ne sentì sdegno.

E poco appresso scoppiò in Roma tumulto contro gli uffiziali spagnuoli e napoletani, che mandati ad ingaggiar uomini per la milizia, e caduti in odio, furono minacciati, offesi, percossi, forzati a nascondersi dalla inferocita plebe, il tumulto si estese a Velletri dove altri ingaggiatori e soldati di Napoli stanziavano: e a tal si giunse nelle due città che in Roma sbarrate cinque porte, si custodirono le altre con a doppie guardie popolari; ed in Velletri munita la città, barricate le strade, armata sotto sedici capitani la milizia urbana, si disposero gli animi alla guerra. Delle quali cose informato Carlo, rivocò da Roma i suoi ministri, scacciò di Napoli i ministri del papa: il ministro di Spagna uscì di Roma; il nunzio, poco prima partito per le Spagne, avvisato che non sarebbe ricevuto in quegli stati, si fermò a Bajona. Tutte le apparenze furono di nemicizia. E frattanto i soldati cacciati da Velletri si formarono in ordinanza, ed assaltata e presa la mal guardata città, uccisero alcuni del popolo, imprigionarono maggior numero, disarmarono tutti, ed imposero taglia, come a città vinta, di ccudi quarantamila. Passano ad Ostia; saccheggiano le botteghe, incendiano le capanne de’ miseri fabbricatori di sale: e subito prorompendo a Palestrina le perdonano, per sedicimila scudi, il saccheggio. E peggio facevano, se Carlo, non per arrestare quelle licenze ma per segno di maggiore nemicizia verso Roma, non avesse comandato a quelle schiere di abbandonare le terre del papa, traendo seco i prigionieri di Velletri e le armi tolte.

Il pontefice ricorse a’ sovrani della Francia e dell’Austria: ma il primo schermi all’inchiesta; il secondo, rammentati al papa i mancamenti fatti all’Impero, pure offeriva di spedire a Roma numerose forze a difesa dell’apostolica sede. Clemente rifiutò l’offerta, e chinandosi all’umiltà delle preghiere, mitigò gli animi de’ Borboni; i prigionieri di Velletri e tre Romani trasteverini, capi del tumulto, chiesti dal governo di Napoli e qua venuti, dopo non breve pena di carcere e pubblica mostra di pentimento, furono per