Pagina:Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825 I.pdf/65

Da Wikisource.

LIBRO PRIMO — 1738. 55

grazia del re lasciati liberi; ma le armi ritenute. Lo sdegno in Carlo rimase piuttosto ammorzato che spento.

E però il ministro Tanucci e parecchi Napoletani di alto ingegno crederono acconcio il tempo a ravvivare le ragioni dello stato e del re: l’abate Genovesi, benchè in molta giovinezza, chiaro per lettere e per virtù, dopo aver dimostrato quanta ricchezza le persone della Chiesa, povere per voti, consumavano, propose riforme giuste, pie, generose. Altri altro proposero; e la stessa città, per suppliche al re, pregava d’imporre sopra i beni e sudditi ecclesiastici le taglie comuni, e convertire in moneta i preziosi metalli che soperchiavano al culto di nostra santa ed umile religione. Mosso da tante voci ed argomenti, Carlo mandò a Roma suo legato monsignor Galliani, uomo di nobile ingegno e libero quanto i tempi comportavano, il quale esponesse al pontefice le richieste o pretensioni del re: Nominare a’ vescovadi e benefizii de’ suoi regni; dare anch’egli, come i re potenti della cristianità, esclusione di un nome nel conclave; ridurre a minor numero i conventi di frati e monache; imporre alcuno impedimento agli acquisti, ed alcuna libertà a’ beni chiamati delle manimorte; cessasse la giurisdizione de’ nunzii, il tribunale della nunziatura si chiudesse.

Il papa dubbioso e addolorato delle dimande, chiamò congregazione di cardinali, che tutte le rigettò come contrario alle antiche ragioni della santa sede. L’ambasciatore non chetò; ma crescendo in pretensioni, chiese l’adempimento del decreto di Onorio II a pro di Ruggiero, però che da Ruggiero discendeva Carlo, e da Onorio Clemente. Rammentò altre concessioni di antichi pontefici ad antichi re delle Sicilie: mentre al bel dire del Galliani assistevano la potenza de’ Borboni, la fortona di Carlo, la decrepitezza di Clemente e ’l desiderio di giovare al suo nipote Corsini ch’era in corte di Napoli, vago di andare vicerè nella Sicilia, e forse pieno di più alte speranze. Per i quali rispetti promise la investitura de’ conquistati regni al re Carlo, e concesse la berretta cardinalizia all’infante di Spagna don Luigi. Lo sdegno de’ due re fu placato, monsignor Gonzaga, nunzio trattenuto a Bajona, andò accetto a Madrid; e per la investitura di Carlo fu prefisso il 12 di maggio di quell’anno 1738.

XXXIV. Nel qual giorno il cardinale Trojano Acquaviva, ambasciatore del re, con seguito di feudatarii napoletani e spagnuoli andò al Quirinale, dove il pontefice nello maggior pompa, circondato da’ cardinali, arcivescovi e vescovi, fece leggere la bolla d’investitura conforme alle antiche, dicendolo Carlo VII, perché settimo re di Napoli con quel nome. Ma, fosse politica o vaghezza, Carlo non appose il numero, e si chiamò negli editti e ne’ trattati come innanzi della investitura. Quietati gli sdegni col pontefice, monsi-