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LIBRO PRIMO — 1744. 63

Carlo. Avvenne in quel tempo fatto singolare e memorabile. Un Napoletano, soldato agli stipendii spagnuoli nel reggimento dragoni, lasciato solo dai suoi compagni fuggitivi, cadde in mezzo a’ nemici: piccolo drappello di cavalieri ungheresi: veduto il suo peggio se restava a cavallo, discese, e snudata la spada, scitica per ordinanza di quel reggimento, combattè con tanta felicità e valore che uccise sette de’ nemici, altri ferì, altri fugò, sì che rimasto vincitore nel campo, raccolse le spoglia ostili, e bagnato di sangue proprio e di altrui tornò al campo spagnuolo dove, deponendo ai piedi del conte di Gages sette armi vinte, n’ebbe dalle squadre alta lode, e dal Conte duecento monete d’oro che l’onoratissimo soîdato spartì a’ commilitoni, null’altro serbando della impresa che la memoria.

Avanzavano sul Tronto per opposte strade Lobkowitz e Carlo. Vi giunsero, ed ognuno d’essi rassegnò le sue schiere, Lobkowitz, già chiaro per le geste di Boemia, reggeva ventimila fanti, seimila cavalieri; succedevano gli stormi di Transilvani, Illirici, Croati, usciti dalle loro foreste per comando della regina, e, sotto specie di guerrieri, predatori e ladroni; quindi altre truppe di fuggitivi, disertori e ladroni che guerreggiando a modo libero e leggero, erano chiamate centurie sciolte; compievano quell’esercito duemila cavalieri ungheresi che, volontarii ed arditi, a modo de’ Parti, campeggiavano vasto paese, infestavano le strade, predavano viveri, armi ed uomini, esploravano i campi e le mosse. Era dunque l’esercito tedesco forte almeno di trentacinquemila combattenti, ma la fama e la prudenza de’ capi aggrandiva il numero e la possanza. Carlo teneva il sommo impero sopra Spagnuoli e Napoletani. Erano i primi undici reggimenti di fanti, tre squadre di cavalieri, cinquecento cavalleggieri, trecento guardie a cavallo del duca di Modena, che profugo da’ suoi stati e fedele alla causa di Spagna militava sotto il conte di Gages; erano quelle guardie Ungheri la più parte passati per diserrzione agli stipendii spagnuoli; messi perciò dalla mala fortuna o dal malo ingegno nella disperata vicenda di vincere o morire. Compiva l’esercito spagnuolo (ventimila soldati) un reggimento di fanti catalani, leggieri di vesti e d’armi, atti alle imboscate, celeri a’ movimenti, sprezzatori del nemico e della morte. Il conte dGages guidava le dette schiere, usate alla guerra ma stanche. I Napoletani rassegnavano ventidue reggimenti di fanti, cinque squadroni di cavalleria (diecinovemila soldati); il duca di Castropignano n’era il capo. Cinque reggimenti erano nuovi; tutto il resto agguerito, sia in Italia sotto Montemar e l’infante Filippo, sia negli assedii delle fortezze delle due Sicilie, o per fino in Affrica presso Orano contro le ferocissime nazioni dei Mori.

Le artiglierîe d’ambe le parti abbondavano: soperchiavano nell’esercito di Carlo le macchine di guerra dirette dal conte Gazola pia-