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LIBRO PRIMO — 1745. 71

bedienza. Non dirò le feste, perchè il re ne vietò le pompa; era festa lo spettacolo e ’l contento di un regno salvato non tanto dalla possanza degli eserciti che dall’amore de’ popoli.

CAPO QUARTO.

Seguito e fine del regno di Carlo.

XLVIII. Dopo i fatti di Velletri e di Lombardia parve a Carlo ed al mondo assicurata la casa dei Borboni nel regno delle Sicilie. Il re tornando alle cure di pace, volle far pago il naturale desiderio di grandezza ne’ pubblici monumenti; alcuni, anche fra le incertezze della fortuna e le angustie dell’erario, ne aveva cominciati o compiuti; altri ne fece nelle maggiori felicità, e più ne immaginava quando passò al trono delle Spagne. Io dirò i più degni. Sono opere di Carlo il molo, la strada Marinella, quella di Mergellina, e tra l’una è l’altra l’edifizio della Immacolata. Tutto quel lido, sovente rotto dal mare, abitato da misera gente, lordo, insalubre, fu trasformato in istrada e passeggio bellissimo; delizia degli abitanti, ornamento della città.

Andando il re con la regina a Castellammare sopra gondola, e ritornando per terra, nell’iterata vista s’invaghirono dell’amena contrada di Portici; e Carlo udendo che l’aria vi era salubre, la caccia (di quaglie) due volte l’anno abbondantissima, il vicino mare pescoso, comandò farvisi una villa, e ad uno di corte che rammentava essere quella contrada soggiacente al Vesuvio, con animo sereno replicò: «Ci penseranno Iddio, Maria Immacolata e san Gennaro.» L’architetto Canovari diede il disegno e l’eseguì.

Quasi nel tempo stesso volle il re che si alzasse altra villa sul colle vicino alla città, detto Capodimonte; sol dal sentire che in quel luogo abbondano nell’agosto i piccoli uccelli beccafichi. Parecchie opere di quel monarca ebbero principio dalla soperchia passione della caccia; ma se più nobili obietti lo avessero mosso, le arti, la custodia delle frontiere, il commercio, quelle immense spese sarebbero state più degne di buon principe, più benedette da’ popoli. Del palazzo di Capodimonte diede l’idea l’architetto Medrano. A mezzo dell’opera, trovandosi fondato l’edifizio sopra grotte vastissime scavate in antico per tirarne pietre di tufo e lapilli, furono necessarie ad impedir la rovina immense moli sotterranee, La spesa ivi sepolta, fu tre volte doppia dell’apparente, il re ne prese tedio; non vi era strada rotabile che menasse a quel luogo, ed il pensiero di aprirla fu trasandato; lo stesso palagio restò incompiuto. A chi lo vede dalla città pare monumento antico, però che le fabbriche interrotte rendono aspetti di rovine. Venne poi tempo, come narrerò, che l’incompiuto edifizio piacque ad altri re.