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76 LIBRO PRIMO — 1745.

punite delle colpe inseparabili da quella turpe condizione. Prima permise per il lucro di quarantamila ducati all’anno i giuochi pubblici di carte o dadi; poi gli abolì. Riprovò e proscrisse la setta de’ liberi muratori per impulsi delle corti di Francia e di Roma; ma nessuno de’ soggetti fu castigato, però che governo saggio e giusto vieta le società secrete, le impedisce, le scioglie e le dispregia. Scacciò gli Ebrei, quei medesimi sette anni prima venuti in Napoli per sua chiamata e con sue promesse; il popolo mal tollerava quelle genti; il gesuita padre Pepe sosteneva la popolare ignoranza e pregava il re, al quale aveva facile accesso, di cacciar dal suo regno cristiano i discendenti de’ crocifissori di Cristo; un altro frate di san Francesco, venerato per opinione di santità dalla regina, le disse un giorno con voce sicura da profeta, ch’ella non avrebbe prole maschile finchè gli Ebrei stessero in regno. Furono espulsi. La bassezza di quella nazione si nobilita della sua combattuta costanza alle sue fedi, virtà d’ogni civiltà; ma la intolleranza ne’ cristiani non ha scusa, non ha sembianza di alcun pregio; è avanzo ed argomento di barbarie antica, più vituperevole per noi che osiamo chiamarci più civili della terra. La plebe di Napoli fu allegra del bando dei Giudei.

LIV. La qual plebe, mesi avanti, tumultuò per sospetto che segretamente s’introducesse l’abborrito tribunale della inquisizione, e dirò come. La potenza del papa rinvigoriva per le guerre d’Italia, varie di fortuna, incerte di successo, e per la desiderata amicizia de’ re combattenti. Egli in quell’anno canonizzò cinque santi, fondò nuov’ordine monastico, i cherici-scalzi, ed invitò il cardinale Spinelli arcivescovo di Napoli ad introdurre inosservatamente il tribunale del santo-uffizio; il pontefice era Benedetto XIV, uno de’ più lodati. L’arcivescovo nominò i consultori, i notai; formò sigillo proprio per i processi; preparò carceri; vi chiuse parecchi per materia di fede, e a due di loro fece eseguire la cerimonia dell’abjura. Imbaldanzito da que’ primi passi, dal silenzio del popolo, dagli elogi del pontefice e dalla religione di Carlo, fece scrivere in pietra ed esporre all’ingresso della casa, «santo uffizio.»

È noto per le nostre istorie quanto i Napoletani abominassero quel nome; e le guerre intestine perciò mosse o sostenute; e le spedite ambascerie ai re lontani; e l’ottenuta o pattovita franchigia; comunque a prezzo di ubbidienza e di tributi. Miracolo a dire! il popolo credente, superstizioso, ignorante, al semplice sospetto d’inquisizione levasi a tumulto, sconosce e minaccia l’autorità del principe, assedia e vince nelle proprie stanze numerose milizie; nè già l’infima plebe per cieca insania come suole o per amor di tumulti; nè il solo miglior ceto per sapienza e libertà; ma tutti i ceti, tutte le condizioni, gli uomini molli della città, gli uomini sem-