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LIBRO SECONDO — 1760. 89


Le quali applicate a molti casi, e ripetute negli atti del governo, stabilirono a poco a poco le pratiche e le opinioni ne’ giudizii de’ magistrati, e nell’animo de’ popoli. Quindi il divieto di ricorrere a Roma senza il regio permesso; quindi le provviste de’ benefiziati fatte dalla cancelleria romana, annullate dal re; impedite le concessioni de’ pontefici sopra le rendite de’ vescovi; impedito al papa congiungere, separare, multar confini alle diocesi; abolite le regole della cancelleria romana; non accettar nunzii se non approvati dal re. Il matrimonio definito contratto civile per natura, sacramento per aecessione; le cause matrimoniali, di competenza laicale; o, se de’ vescovi, per facoltà delegata dal principe. E se n’ebbe pruova nel matrimonio del duca di Maddaloni, che voleva risolversi per caso preveduto dal concilio di Trento. Il nome, il grado, la ricchezza degli sposi fecero quella causa la più famosa del tempo, così che il nunzio voleva trattarla nel tribunale della nunziatura; ma il re, nominato il magistrato a deciderne, confermò essere i matrimonii patti civili.

IV. Crebbero per le cose dette le facoltà dei vescovi, ma in danno di Roma; perciocchè nello interno l’autorità vescovile fu ristretta e abbassata. Venne a’ vescovi proibito d’ingerirsi nella istruzione pubblica, e di stampare scritti non sottomessi alla censura comune ed approvati dal re. Vietate le censure de’ vescovi, vietati i processi per lascivie, interdette le carceri. Dipoi soppresse le immunità personali, proibite le questue, soggettate a tariffa le sportule ecclesiastiche, francati i luoghi pii dalle prestazioni a’ vescovi, rivocate per sempre certe esazioni che i vescovi facevano da origine tanto vetusta che dimenticata; e si diceva nel decreto: Il vescovo come prepotente non prescrive.

Qui rammento che nel 1746, tentata dal papa e dal cardinale Spinelli la introduzione del tribunale del santo-uffizio, mosso il popolo a tumulto, non si ebbe quiete prima che scomparissero le cose e i segni del tribunale abborrito, e non fossero eletti (a sicurtà dell’avvenire) quattro del popolo col nome e ‘l carico di deputati avverso al santo-uffizio. Questi medesimi, dopo la partenza di Carlo, dimandarono al re successore la conferma di que’ privilegi accordati con gli antichi re, per le preghiere, i tributi ed i tumulti del popolo. E la reggenza, sollecita di contentare la onesta dimanda, riprodusse gli editti medesimi di Carlo confermati e giurati dal successore. Così ella stessa, poco innanzi la maggiorità del principe (dicendo a’ magistrati che vegliassero alle ragioni della sovranità, affine d’impedire che le male usanze della corte romana, svette a stento dalla sapienza de’ due regni borbonici, si rallignassero), impose l’obbligo alla regal camera di Santa Chiara, al delegato della giurisdizione regia, all’avvocato della corona, d’instruire per