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208 LIBRO OTTAVO — 1818.

Cimarosa, negli ultimi il Rossini, dal quale fu vinto, perchè il gusto de’ suoni è rapido e cangiante. Ottenne in vita onori e ricchezze, in morte pompose esequie, recitate lodi e monumento di marmo che le amorose di lui sorelle posero nella chiesa di Santa Maria Nova.

E pur nel 1816, della età di anni centoquindici trapassò Domenico Giovanelli, del quale registro il nome non per ventura di longevità, ma perchè volle, morendo, il suo ricco patrimonio, frutto di modesta ed operosa vita, spartito tra i poveri di Lentella sua patria. Egli vide morir di vecchiezza un nipote, figlio del figlio; il casato che in lui si spegneva fu aggiunto al casato proprio de’ poveri beneficati, e la duce del nome divenne vasta ed onoratissima.

Ed in quell’anno medesimo finì la vita del principe di Russia Philipstadt di regio sangue alemanno, capitan generale negli eserciti napoletani, per valore di guerra e virtù private degno rampollo di nobilissima stirpe.

Due anni appresso, nel 1818, morì il tenente generale Saint-Clair, francese, emigrato quando era giovinetto per fuggire i civili sconvolgimenti della sua patria. Servì negli eserciti napoletani, grato alla corte e caro alla regina Carolina d’Austria, alla quale fu discreto amico nelle buone sorti, devoto nelle avverse; civile, onesto, benefico, amato, compianto.

XXXIX. Il re andò a Roma per inchinare il papa, avere onore del concordato, e benedizioni, indulgenze; portò seco la moglie, piccolo corteggio, nessuna pompa; ma nello stretto numero di seguaci pur volle Casacciello buffo napoletano, che sulle scene di Roma non piacque, perciocchè il ridere, non avendo come il pianto immutabile cagione nella natura degli eventi, prende misura da’ luoghi e tempi, sì che piangiamo ancora dei mesti casi di Germanico e di Agrippina, ma nessun labbro moverebbe a riso le facezie degli Osci. E però i motti di Casacciello fastidivano i Romani uditori, e fra tanta pubblica noja il solo ridere del re gli accrebbe fama di goffezza.

Il re, stando in Roma, fece grazia del ritorno a dieci Napoletani che nel 1815 spatriarono, altri per seguire Gioacchino, altri per fuggire i Borboni. Tre de’ dieci sono degni di ricordanza, il conte Zurlo, il barone Poerio, Davide Winspeare, de’ quali appresso parlerò, essendo riserbati dalla sorte a novelli giuochi di fama e di sventure. Ritornò il re, e seco venne il fratello Carlo IV, sovrano per venti anni delle Spagne, confinato a Roma dopo i rivolgimenti del suo regno, nè tornato alla potenza e alle fortune per la caduta del nemico e l’innalzamento del figlio. Era stato in Napoli poco innanzi a diporto, dicevasi che ora venisse a permanenza. I due re