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28 LIBRO SESTO — 1806.

antiche barbare forme di procedura furono abolite; un’autorità locale raccoglieva le prime pruove, altra maggiore componeva il processo, il pubblico accusatore accusava il reo; e da quello istante divenivano di ragion pubblica le querele, i documenti, i nomi dei denunziatori e de’ testimonii. Il processo non istava nelle carte scritte, ma nel dibattimento, quando l’accusatore coll’avvocato, l’accusato co’ testimonii, alla presenza de’ giudici e del pubblico, disputavano, e dalle opposte sentenze scaturiva la verità e s’imprimeva nella coscienza de’ magistrati e del popolo.

Erano i giudici di numero pari, acciò nella parità de’ voti la più mite sentenza prevalesse; si ammetteva la privata accusa scritta e giurata, ma l’accusatore falso era condannato per taglione. Tanto lume di verità e di giustizia succeduto alle tenebre dell’antico processo invaghì il popolo che, andando alle sale di giustizia come a teatrali spettacoli, partecipava a quelle vere scene di pietà o di terrore, sentiva spavento de’ delitti e delle pene, imparava le leggi. Gran mezzo di civiltà, poco minore de’ giurati, è il dibattimento.

Da un tribunale straordinario fu giudicato frà Diavolo e dannato a morte. Stava il giudizio nel riconoscimento della persona, trovandosi bandito nemico pubblico quando correva sconvolgendo il regno. Morì vilmente bestemmiando la regina di Sicilia e Sidney Smith, che lo avevano spinto a quella impresa.

Chi fosse questo tristo è noto da’ precedenti libri: ultimamente, inviato da Sicilia nel regno con trecento malfattori tratti nelle galere, sbarcò a Sperlonga, campeggiò quelle terre, predò, uccise, e più danno faceva, se da maggiori forze assalito non fosse stato costretto a riparar fra i monti e boschi di Lenola. Sempre inseguito, perditore in ogni scontro e fuggitivo, restò con pochi (gli altri uccisi o prigioni), e per due mesi di selva in selva, nella notte più che nel giorno vagando, sperò imbarcarsi per la Sicilia. Ma ogni via gli era chiusa. Nuovamente incontrato, ferito, rimasto solo, persuaso da stanchezza, povertà e forse tedio di vita, andò travestito ed inerme a prender riposo e comprar balsami nel villaggio di Baronissi, dove suscitando alcun sospetto fu arrestato e riconosciuto per frà Diavolo.

Portava in tasca i fogli di Sidney Smith e della regina, ne’ quali e nelle sue risposte dicevasi colonnello dell’esercito di Sicilia, e lo era; ma non il grado e il nome diffinisce la qualità dei capo, bensì l’uffizio e la schiera. Frà Diavolo, se veniva nel regno con grande o piccolo stuolo di soldati, a combattere con regole della milizia, fortunito era ammirabile, sventurato e preso era prigione; ma frà Diavolo già assassino, di assassini capo, da assassino operando, in qualunque fortuna era infame e colpevole. Non si confondano popolo armato e brigantaggio, l’uno difenditore de’ suoi diritti,