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216 della lega lombarda

moderna moneta Milanese1. Molti se ne morivano di fame, molti infermavano, e molti nobili, fatti ciechi dalla necessità intorno alle cose del comune, provvedevano alle proprie, scappando dalla città ed arrendendosi all’Imperadore per campare la vita.2 Tuttavolta non mancavano generosi, che non giungevano a persuadersi come la libertà e la patria potesse vendersi per un avanzo di vita, e si opponevano alla resa. Ma vennero sopraffatti dal numero maggiore dei disffrancati; e fu vinto il partito di spedire oratori a Federigo a chieder pace con queste condizioni assai dimesse: Colmerebbero i fossati, abbatterebbero le mura e le torri della città; trecento ostaggi porrebbero nelle mani sue da rimaner come prigionieri per tre anni: chinare il collo a qualunque Podestà volesse mandar loro a governarli, e fosse stato anche Tedesco; stare pagatori di determinata quantità di danaio; a loro spese edificargli o dentro o fuori della città un palagio; non rinnovare le munizioni della città senza il suo beneplacito; accogliere il tedesco esercito nella città a stanziarvi pel tempo che fosse a lui piaciuto. Crudelissimi patti; nè si potevano fabbricare catene più dure di queste, alle quali profferiva i polsi la disperata Milano3.

Li recarono a Federigo, che dimorava in Lodi, nove Consoli ed otto maggiorenti: qual’animo fosse il loro nella trista deputazione pensi il lettore. Pure assai confidenti si appresentarono all’Imperadore, quasi certificati del buon esito del negozio, non potendo aspettarsi leggi più dure di quelle che colle mani proprie s’imponevano. Esposero la loro ambasceria di pace, offerirono le condizioni della resa, obbligandosi con sagramento a mantenerle; resero le nude spade in segno di suggezione. Ma il Tedesco con boreale superbia, avuto consiglio co’ suoi baroni, se li cacciò dinanzi, ri-

  1. Giulini. Memorie di Milano, par. VI. p. 230. e segu.
  2. Vide Nota B.
  3. Burchardi Epist. S. R. I. vol. 6. p. 915.