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144 Storia della Letteratura Italiana.

IV. Ho detto in addietro, che la nostra amichevole corrispondenza avea avuto principio da’ ragionamenti, che facevamo insieme su’ libri, ch’ei mi prestava. Questa unione di cuori erasi già stretta alquanto, quando i Greci, ch’erano stati chiamati a Roma, furono in varie Città dispersi. Allora i due figliuoli di Paolo Emilio, Fabio e Publio Scipione, richiesero istantemente al pretore, ch’io potessi restare con loro; e l’ottennero. Mentre io dunque stavami in Roma, una singolare avventura giovò assai a stringere vieppiù i nodi della nostra amicizia. Un giorno, mentre Fabio andavane verso il Foro, ed io e Scipione passeggiavamo insieme in altra parte, questo giovin Romano in un’aria amorevole e dolce, ed arrossendo alquanto, meco si dolse, che stando io alla mensa col suo fratello e con lui, io sempre a Fabio volgessi il discorso, non mai a lui; e io ben conosco, soggiunse, che questa vostra freddezza nasce dall’opinione, in cui siete voi pure, come tutti i nostri Concittadini, ch’io sia un giovane trascurato, che niun genio abbia per le scienze, che al presente fioriscono in Roma; perciocché non mi veggono applicarmi agli esercizj del Foro, né volgermi all’eloquenza. Ma come, caro Polibio, come potrei io farlo? Mi si dice continuamente, che dalla famiglia degli Scipioni non si aspetta già un Oratore, ma un Generale d’armata. Vi confesso, che la vostra freddezza per me mi tocca e mi affligge sensibilmente. Io fui sorpreso, continua Polibio, all’udire un discorso, a cui certo non mi attendeva da un giovinetto di diciott’anni; e di grazia, gli dissi, caro Scipione, no non vogliate né pensare, né dire, che se io comunemente rivolgo il discorso a vostro fratello, ciò nasca da mancamento di stima, ch’io abbia per voi. Egli è primogenito; e perciò nelle conversazioni a lui mi rivolgo sempre anzi che a voi; e ciò ancora, perché ben mi è noto, che avete amendue i medesimi sentimenti. Ma io non posso non compiacermi di vedere, che voi pur conoscete, che a uno Scipione mal si conviene l’essere infingardo. E ben si vede, quanto i vostri sentimenti siano superiori a que’ del volgo. Quanto a me, io tutto sinceramente mi offro al vostro servigio. Se voi mi credete opportuno a condurvi a un tenore di vita degno del vostro gran nome, potete di me disporre, come meglio vi piace. Per ciò che è delle scienze, alle quali vi veggo inclinato e disposto, voi troverete bastevoli ajuti in quel gran numero d’uomini dotti, che ogni giorno ci vengono dalla Grecia. Ma pel mestiere della guerra, di cui