Pagina:Storia della letteratura italiana - Tomo I.djvu/284

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experiretur. Nam quis docere diligentius, movere vehementius potest? Cui tanta unquam jucunditas affluit? ut ipsa illa, quæ extorquet, impetrare eum credas, & cum transversum vi sua judicem ferat, tamen ille non rapi videatur, sed sequi. Jam in omnibus, quæ dicit, tanta auctoritas inest, ut dissentire pudeat: nec advocati studium, sed testis aut judicis adferat fidem. Cum interim hæc omnia, quæ vix singula quisquam intentissima cura consequi posset, fluunt illaborata: & illa, qua nihil pulchrius auditu est, oratio præ se fert tamen felicissimam facilitatem. Quare non immerito ab hominibus ætatis suæ regnare in judiciis dictus est: apud posteros vero id consecutus, ut Cicero jam non hominis sed eloquentiæ nomen habeatur. Hunc igitur spectemus: hoc propositum nobis sit exemplum. Ille se profecisse sciat, cui Cicero valde placebit; i quali passi io ho qui voluto recare nell’original loro linguaggio, perché mi è sembrato, che qualunque traduzione fosse per indebolirne di troppo la forza e il nerbo.

XIV. Niuno tra’ Latini Oratori, di cui ci sian rimaste le opere, può certamente venire a confronto con Cicerone. E se vi è stato, chi ha preteso di mettergli Seneca al fianco, e di mostrarsi dubbioso, a chi de’ due si debba la preferenza, egli certo più alla sua propria fama che a quella di Cicerone ha recato danno. Tra’ Greci non vi è che Demostene, che gli si possa paragonare. Questi due Oratori ebbero nelle vicende della vita tal somiglianza tra loro, che difficilmente troverassi in altri l’uguale. Amendue possenti nella loro Repubblica dovettero il proprio innalzamento alla loro eloquenza; amendue zelanti per la libertà della patria coraggiosamente si opposero a chi pensava ad opprimerla; amendue per le civili discordie e per l’invidia de’ lor nemici costretti a andarsene in esilio, e poscia con maggior gloria richiamati; amendue più forti di lingua che non di mano, e più possenti nel foro che non nel campo; amendue finalmente vittime della pubblica libertà, insiem colla quale caddero estinti, benché più gloriosamente Cicerone, il quale con coraggio sostenne la morte recatagli, che non Demostene, il quale disperatamente da sé stesso si uccise. Si è disputato assai, a chi di questi due Oratori si debba il primato dell’eloquenza. Nella qual quistione, come in altre ancora, è avvenuto, che alcuni non tanto abbian pensato a esaminare attentamente e a riflettere su’ diversi pregi dell’eloquenza di Demostene e di Cicerone, e a farne un esatto