Pagina:Storia della letteratura italiana - Tomo I.djvu/311

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coltivare l’ingegno. Del solo Apollonio di Rodi sappiamo ch’ei fu per qualche tempo discepolo. Ma un ingegno così vivace e una sì pronta e sì fervida fantasia avea egli ricevuto dalla natura, che que’ pochi avanzi di tempo, che da tante occupazioni gli rimanevano liberi, poteron formarlo uno de’ più colti uomini che fiorissero in Roma. Basta leggere ciò, che di lui narra Plinio il vecchio16, per conoscere qual prodigioso talento avesse egli sortito. Al medesimo tempo soleva egli e scrivere, e leggere, ed ascoltare, e dettare, e a quattro Scrittori allo stesso tempo dettar lettere di gravissimi affari, anzi fino a sette ancora, se allora in altra cosa non si occupava.

IV. Non è perciò a stupire, che in mezzo a sì grandi affari fosse egli in tutte quasi le scienze

egregiamente istruito. Già abbiam veduto, che nell’Eloquenza egli solo forse avrebbe potuto gareggiare con Cicerone, se la sua ambizione non gli avesse fatto abbandonare il foro; e che colla stessa forza diceva egli da’ rostri, con cui combatteva nel campo. Coltissimo nello stile volle ancora svolgerne i precetti ne’ due libri da lui composti, e intitolati de Analogia, libri, ciò che è più da ammirarsi, da lui scritti, come narra Svetonio17, mentre viaggiava per l’Alpi passando dalla Gallia Cisalpina nella Transalpina. Egli li dedicò a Cicerone; ed ecco con qual elogio questi introduce Attico a ragionarne, e come destramente vi inserisce ciò, che Cesare aveva scritto in sua lode18

Quin etiam in maximis occupationibus cum ad te ipsum (inquit in me intuens) de ratione Latine loquendi accuratissime scripserit, primoque in libro dixerit, verborum delectum originem esse eloquentiæ, tribueritque, mi Brute, huic nostro (cioè a Cicerone), qui me de illo maluit, quam se dicere, laudem singularem nam scripsit his verbis, cum hunc nomine esset affatus: Ac, si cogitata præclare eloqui possent, nonnulli studio & usu elaboraverunt, cujus te pene principem copiæ atque inventorem bene de nomine ac dignitate populi Romani meritum esse existimare debemus), hunc facilem & quotidianum novisse sermonem, nunc pro relicto est habendum. Anzi nel tempo medesimo, in cui egli vie maggiormente pensava a stabilire in Roma il suo