Pagina:Storia della letteratura italiana - Tomo I.djvu/420

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nondimeno, che per riguardo a’ Romani non si può ammettere generalmente. Uomini dotti sì certo eran quelli, che alla custodia delle Biblioteche si destinavano; ma erano per lo più Gramatici, i quali, come già si è veduto, erano comunemente Liberti o schiavi. E pare in fatti, che i Romani si dilettassero bensì degli studj, quanto apparteneva a coltivar quelle scienze, che più loro erano in grado; ma che tuttociò, in che alla erudizion congiugnevasi la fatica d’istruire, di insegnare a’ fanciulli, di ordinar Biblioteche, o altre cose somiglianti, fosse da essi stimata cosa men degna della gravità di un Cittadino Romano. Questa osservazione fu fatta ancora dall’erudito Pignoria: Apud Imperatores erant non pauci (servi), quibus hoc munus incumberet, com hæc ordinandarum & publicandarum Bibliothecarum cura non omnino videretur imperii majestatem decere67


Capo IX – Greci eruditi in Roma

I. Questo, che abbiam finora descritto, era il lieto e fiorentissimo stato, in cui trovavasi la Romana Letteratura a’ tempi di Cesare e di Augusto; ed io non so, se troverassi altro secolo, che un sì gran numero d’uomini, quali in una, quali in altra, e molti in molte scienza eccellenti, possa vantare, e tutti in una sola Città insieme raccolti. L’onore, in cui erano in Roma le scienze e gli uomini dotti, non solo fece sempre più ardente l’impegno di coltivare gli studj; ma vi trasse ancora molti de’ più eruditi tra’ Greci; che volentieri accorrono gli uomini, ove possono fondatamente sperare e stima e premio del lor sapere. Già si è rammentato ciò, che a favor de’ Filosofi e de’ Letterati d’ogni maniera fecero Lucullo, Cesare, Cicerone, Augusto, Mecenate, ed altri. Il gran Pompeo parimente in ogni occasione dava a vedere, in quanto pregio egli avesse gli uomini dotti; e ben mostrollo singolarmente, quando venuto a Rodi di niun’altra cosa fu più sollecito, che di andare a trovare