Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/24

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Franco e sicuro e pauroso,
E sono folle e saggio.
Facciome prode e dannaggio,
E diraggio
Vi’ como
Mal e bene aggio
Più che null’omo.


Così comincia una canzone Ruggieri Pugliese, tutta su questo andare, dove la rozzezza e la negligenza della forma esclude ogni serietà di lavoro: è una litania di antitesi racimolate qua e là e messe insieme a casacccio.

I poeti siciliani di questo genere più ammirati a quei tempi sono Guido delle Colonne e il Notajo Jacopo da Lentino.

Guido, Dottore o, come allora dicevasi, Giudice, fu uomo dottissimo. Scrisse cronache e storie in latino, e voltò di greco in latino la storia della caduta di Troja, di Darete, una versione che fu poi recata parecchie volte in volgare. Un uomo par suo sdegna di scrivere nel comune volgare, e tende ad alzarsi, ad accostarsi alla maestà e gravità del latino: sì che meritò che Dante le sue canzoni chiamasse tragiche, cioè del genere nobile e illustre. Ma la natura non lo avea fatto poeta, e la sua dottrina e il lungo uso di scrivere non valse che a fargli conseguire una perfezione tecnica, della quale non era esempio avanti. Hai un periodo ben formato, molta arte di nessi e di passaggi, uno studio di armonia e di gravità: artificio puramente letterario e a freddo. Manca il sentimento; supplisce l’acutezza e la dottrina, studiandosi di fare effetto con la peregrinità d’immagini e concetti esagerati e raffinati, che parrebbero ridicoli, se non fossero incastonati in una forma di grave e artificiosa apparenza. Ecco un esempio:

Ancor che l’aigua (acqua) per lo foco lasse
    La sua grande freddura,