Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/380

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Capri, Amalfi, le isole, le fonti, le colline escono dalla sua immaginazione pagana ninfe vezzose, e allegrano le nozze della sua Lepidina. La crassa sensualità è vaporizzata fra le grazie dell’immaginazione e i deliziosi profumi dell’eleganza. La sua Musa, come la sua colomba, fugit insulsos et parum venustos, odit sorditiem, nega i suoi doni a quelli che sono illepidi atque inelegantes, e gaudet nitore, e rassomiglia alla sua puella, di cui nessuna vivit mundior elegantiorve. Spirito ed eleganza, questo è il mondo poetico di una borghesia colta e contenta, che cantava i suoi ozi e passava il tempo tra Quintiliano, Cicerone, Virgilio, e i bagni e le cacce e gli amori. Ne senti l’eco tra le delizie di Baia e tra le villette di Fiesole. Il Pontano scrivea la Lepidina tra i susurri della cheta marina; il Poliziano scrivea il Rusticus tra le aure della sua villetta fiesolana. In tutte e due ispiratrice è la bella natura campestre, con più immaginazione nel Pontano, con più sentimento nel Poliziano. Piace la cerula ninfa Posilipo e la candida Mergellina, e quel voler essere uccello per cascarle in grembo è un bel tratto galante, una sensualità dell’immaginazione. Il Pontano è figurativo, tutto vezzi e tutto spirito; il Poliziano è più semplice, più vicino alla natura, e te ne dà l’impressione:

«Hic resonat blando tibi pinus amata susurro;
Hic vaga coniferis insibilat aura cupressis:
Hic scatebris salit et bullantibus incita venis
Pura coloratos interstrepit unda lapillos».

Questo latino, maneggiato con tanta sveltezza, modulato con tanta grazia, non cade nel vuoto, come lingua morta, e questi canti non sono stimati lavori di pura erudizione e imitazione. Lorenzo Valla chiama il latino la lingua nostra; nessuna cosa di qualche importanza non si scrivea se non in latino, e metteasi a fuggire il volgare