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sottoporre a regole di grammatica e di rettorica. Certo, il vezzo del latino introduceva nel volgare caduto in mano a’ pedanti vocaboli e frasi e giri, di cui si sentono gli effetti fino nella prosa del Machiavelli; ma quella barbara mescolanza per la sua esagerazione divenne ridicola, e non potè alterare le forme del volgare, così come erano state fissate negli scrittori e si mantenevano vive nel popolo. Nè l’uso fu mai intermesso; e Lionardo scrivea in volgare la vita di Dante e del Boccaccio, e in volgare Feo Belcari scrivea le vite de’ Santi e le rappresentazioni, e si continuavano i rispetti, gli strambotti, le frottole, le cacce, le ballate, tutt’i generi di lirica popolare legati con le feste e gl’intrattenimenti pubblici e privati, le mascherate, le giostre, le serenate, le rappresentazioni, i giuochi, le sfide. Non era cosa facile guastare o sopraffare una lingua legata così intimamente con la vita.
La forza della lingua volgare era appunto in questo, che rifletteva la vita pubblica e privata, divenuta parte inseparabile della società nelle sue usanze e ne’ suoi sentimenti. Onde se gli uomini colti, trasportati dalla corrente comune, scrivevano in latino per procacciarsi fama, nell’uso vario della vita adoperavano il volgare, condotto oramai al suo maggior grado di grazia e di finezza, parlato e scritto bene generalmente. Un gran mutamento era però avvenuto nella letteratura volgare. Il mondo ascetico mistico scolastico del secolo passato non era potuto risorgere di sotto a’ colpi del Petrarca e più del Boccaccio, ed era tenuto rozzo e barbaro, e continuava la sua vita, come un mondo fatto abituale e convenzionale a cui è straniera l’anima. Al contrario era in uno stato di produzione e di sviluppo il mondo profano, la gaia scienza, e dava i suoi colori anche alle cose sacre. Le Laude erano intonate come i rispetti, e i misteri acquistavano la tinta romanzesca delle novelle e romanzi al-