Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/386

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suo Studio e la sua villetta di Fiesole sono il compendio di questa vita tranquilla e placida, spenta a quarant’anni.

Il Poliziano aveva uno squisito sentimento della forma nella piena indifferenza di ogni contenuto. Il tempio era vuoto: vi entrò Apollo, e lo empì d’immagini e di armonie. Il mondo antico s’impossessò subito di un’anima, dove ogni vestigio del medio evo era scomparso. Il Boccaccio senti che è ancora medio evo, e lo vedi alle prese co’ canoni e le scienze sacre e le forme dantesche; il vecchio e il nuovo Adamo combattono in lui, come nel Petrarca: erano tempi di transizione. Nel Poliziano tutto è concorde e deciso; non ci è più lotta. Teologia, scolasticismo, simbolismo, il medio evo nelle sue forme e nel suo contenuto, di cui vedevi ancora la memoria prosaica nelle laude e nei misteri, è un mondo in tutto estraneo alla sua coltura e al suo sentire. Quello è per lui la barbarie. E non ha bisogno di cacciarlo dalla sua anima: non ve lo trova. Il sentimento della bella forma, già così grande nel Petrarca e nel Boccaccio, in lui è tutto; e quel mondo della bella forma, appresso al quale correvano faticosamente il Boccaccio e il Petrarca fin da’ primi anni, e il mondo suo, e ci vive come fosse nato là dentro, e ne ha non solo la conoscenza ma il gusto. Questo era la coltura, l’umanità, il risorgimento, orgoglio di una società erudita, artistica, idillica, sensuale, quale il Boccaccio l’avea abbozzata, e che ora si specchia nel Poliziano, come nel suo modello ideale. Perchè questa generazione, caduta così basso, fiacca di tempra e vuota di coscienza, aveva pure la sua idealità, il suo divino, ed era l’orgoglio della coltura, il sentimento della forma. Le sue mascherate, le cacce, le serenate, le giostre, le feste, tanta parte di quella vita oziosa e allegra, erano nobilitate dalle arti dello spirito e da’ piaceri dell’immaginazione. E se il Cardinale Gonzaga, rien-