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Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/398

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non ne riproduce il sentimento; c’è l’esattezza, manca il calore e l’armonia. Veggasi ora l’artista, il Poliziano:

Qual tigre a cui dalla pietrosa tana
Ha tolto il cacciator gli suoi car figli;
Rabbiosa il segue per la selva ircana,
Che tosto crede insanguinar gli artigli:
Poi resta di uno specchio all’ombra vana,
All’ombra che i suo’ nati par somigli;
E mentre di tal vista s’innamora
La sciocca, il predator la via divora.

Anche Lorenzo descrive le rose, come fa il Poliziano; ma si paragoni. Ciò che in Lorenzo è naturalismo, è idealità nel Poliziano. Nell’uno è il di fuori abbellito dall’immaginazione, l’altro nel di fuori ti fa sentire il di dentro. Lorenzo dice:

Eranvi rose candide e vermiglie:
Alcuna a foglia a foglia al sol si spiega,
Stretta prima, poi par si apra e scompiglie:
Altra più giovinetta si dislega
Appena dalla boccia: eravi ancora
Chi le sue chiuse foglie all’aer niega:
Altra cadendo a piè il terreno infiora.

Minuta analisi, con perfetta esattezza di osservazione e con proprietà rara di vocaboli. Vedete ora nel Poliziano queste rose animarsi come persone vive; ne senti la fragranza, la grazia, la freschezza:

Questa di verdi gemme s’incappella;
Quella si mostra allo sportel vezzosa;
L’altra che in dolce foco ardea pur ora,
Languida cade e il bel pratello infiora.

In questo genere narrativo e descrittivo, di cui il Boccaccio nel Ninfale dava l’esempio, il poeta non è obbli-