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fondità del mare, detto bolide albertiana. Nelle sue Piacevolezze matematiche trovi non pochi problemi di molto interesse, e nei suoi libri dell’Architettura, che gli procacciarono il nome di Vitruvio moderno, hai cenni di parecchie invenzioni o fatte o intravedute. I suoi Rudimenti e i suoi Elementi di pittura, e la sua statua contengono preziosi insegnamenti tecnici di queste arti.

Fu così pratico del latino, che un suo scherzo comico scritto a venti anni e intitolato Philodoxios venne da tutti gli eruditi attribuito a un antico scrittor latino, e da Alberto d’Eyb a Carlo Marsuppini, professore di rettorica a Firenze e segretario della repubblica. E non minor pratica ebbe del volgare, in prosa e in verso, addestratosi anche nel maneggio del dialetto, quando con Cosimo de’ Medici e gli altri sbanditi fu richiamato in Firenze. Ne’ suoi Intercenali o intrattenimenti della cena, ne’ suoi Apologhi, nel suo Momo scritto a Roma il 1451, dove rappresenta sè stesso, piacevoleggia con urbanità. Scrisse i soliti sonetti e canzoni: e chi non ne scrivea allora? o chi non ne scrisse poi? Meglio riuscirono le sue Egloghe, e le sue Elegie, amorosi idilli, come era la voga dal Boccaccio in qua. Era in voga anche Platone, e platonizzò. Ma al suo ingegno così pratico, così lontano dalle astrazioni, non potea piacere il misticismo platonico, che facea andare in visibilio il suo amico Ficino, e lo seguì come artista ne’ suoi dialoghi della Tranquillità dell’animo e della Famiglia, il cui terzo libro fu lungo tempo attribuito al Pandolfini, e del Teogenio o della vita civile e rusticana. Tali sono pure l’Ecatomfilea, la Deifira, la Cena di famiglia, la Sofrone, la Deiciarchia. Il dialogo è la sua maniera prediletta, un certo discorrere alla familiare e alla buona, così alieno dalle pedanterie scolastiche, e che trovi anche dove parla uno solo, come nelle sue Efebie, nella sua epistola sull’Amore, nella sua Amiria. Chi misura l’ingegno dalla