Pagina:Storia della letteratura italiana I.djvu/54

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personale, muore con la persona. Il comune sembra un castello incantato, dove l’uomo entrando ignori tutto ciò che vive e si muove al di fuori. Nessun vestigio de’ grandi avvenimenti di cui l’Italia era stata ed era il teatro; niente che accennasse ad alcuna partecipazione alle grandi discussioni tra papato e impero, tra guelfi e ghibellini, o rivelasse un sentimento politico elevato e nazionale, al di sopra della cerchia del comune. Tutto è piccolo, tutto va a finire là, nella piccola maldicenza sulla piazza del comune. Di ciò che si passava in Italia, appena un’ombra trovi in un sonetto di Orlandino Orafo, eco delle preocupazioni e ansietà pubbliche, quando Carlo d’Angiò andava ad investire Re Manfredi in Benevento. Ma ciò che preoccupa Orlandino, non è il risultato politico e nazionale della lotta, ma la grande strage che ne verrà:


Ed avverrà tra lor fera battaglia,
     E fia sanfaglia - tal, che molta gente
     Sarà dolente - chi che ne abbia gioja.

E molti buon destrier coverti a maglia,
     In quella taglia - saran per nïente
     Qual fia perdente - allor convien che muoja.


A lui è uguale chi vinca e chi perda. Ciò che gli fa impressione, è la lotta in sè stessa co’ suoi accidenti. Lo diresti uno spettatore posto fuori de’ pericoli e delle passioni de’ combattenti, che contempla avido di emozioni i varii casi della pugna.

Questa rozzezza della vita italiana sotto i suoi varii aspetti religioso, morale, politico, spicca più, perchè in evidente contrasto con la precoce coltura scientifica, divenuta il principale interesse di quel tempo. La scienza era come un mondo nuovo, nel quale tutti si precipitavano a guardare. Ma la scienza era come il Vangelo, che s’imparava e non si discuteva. A quel modo che