Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/227

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e fin d’allora ella era tagliata fuori del mondo moderno, e più simile a museo, che a società di uomini vivi.

La letteratura era a quell’immagine, vuota d’idee e di sentimenti, un gioco di forme, una semplice esteriorità. Si frugava nel vecchio arsenale classico, si giravano e rigiravano quei pensieri e quelle forme. Il mondo greco appena libato era corso in tutte le direzioni, e dava un certo aspetto di novità alle forme letterarie. La poesia italiana nella sua lunga durata avea messo in circolazione un repertorio oramai fatto abituale e vuoto di effetto; e non ci essendo la forza di rinnovare il contenuto, tutti eran dietro ad aguzzare, assottigliare, ricamare, manierare, colorire un mondo invecchiato che non dicea più niente allo spirito. Meno il contenuto era vivo, e più le forme erano sottili, pretensiose, sonore. Nacque una vita da scena, con grande esagerazione e abbondanza di frasi, un eroismo religioso, patriottico, morale a buon mercato, perchè dietro alle parole non ci era altro. Di questo eroismo rettorico il più bel saggio è la Fortuna del Guidi, il quale trovò modo di rendere ridicola e millantatrice la Fortuna di Dante: tanto si era perduto il senso del vero e del semplice. E ne uscì quella maniera preziosa e fiorita, della quale dava già esempio l’Aretino, quando la sua mente non era abbastanza solleticata dall’argomento. Uno degl’ingegni meno guasti fu il Chiabrera; pur sentasi questo suo epitaffio a Raffaello:

Per abbellir le immagini dipinte
Alle vive imitar pose tal cura,
Che a belle far le vere sue natura
Oggi vuole imitar le costui finte.

E il prezioso non è solo ne’ concetti, ma nelle forme, cercandosi i modi più disusati in dir cose le più semplici. Ecco un esempio di queste forme preziose nella Fortuna