Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/241

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eroiche, morali e patriottiche, ciò che ancor vive, è il naturalismo, una certa ebbrezza musicale de’ sensi, che fa cantare ai marinai napolitani le stanze di Armida e i lubrici versi del Marino. Tutti si sentivano innanzi a un mondo poetico invecchiato, e volevano rinnovarlo, e non vedevano che bisognava innanzi tutto rinnovare la coscienza. Aguzzarono l’intelletto, gonfiarono le frasi, e non potendo esser nuovi, furono strani. L’attività si concentrò intorno alla frase, e il mondo letterario segregato dalla vita, e vuoto di ogni scopo serio, divenne un esercizio accademico e rettorico.

La parola come parola, fine a sè stessa, è il carattere della forma letteraria o accademica. Nel secolo scorso aveva un aspetto ciceroniano e boccaccevole; ora, divenuta l’essenza stessa della letteratura, vi si aggiunge un’aria preziosa, cioè a dire una ostentazione di peregrinità nella sottigliezza del concetto o nel giro della frase. Citammo già alcuni esempi di Pietro Aretino. Ora ci è in tutti, anche ne’ più semplici, un po’ di Pietro Aretino. E quando questo sforzo dello spirito pareva soverchia fatica, gli scrittori rimanevano senza più semplici parolai o frasaiuoli: ciò che si diceva stile fiorito. Queste sono le due forme della decadenza, di cui si vedono già i vestigi in Pietro Aretino, e che ora tengono il campo nelle accademie letterarie. Gli accademici s’incensano, si batton le mani, e si decretano l’immortalità. Abbiamo gli Ardenti, i Solleciti, gl’Intrepidi, gli Olimpici, i Galeotti, gli Storditi, gl’Insipidi, gli Ottusi, gli Smarriti. Acquistano un’importanza artificiale, molti vi pigliano il battesimo di grandi uomini, come fu del Salvini, dotto uomo, ma d’ingegno assai inferiore alla fama. Corona di questa letteratura frivola sono gli acrostici, gli indovinelli, gli anagrammi, e simili giuochi di spiriti oziosi.

La parola, come parola, può per qualche tempo ave-