Pagina:Storia della letteratura italiana II.djvu/303

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patibile. Ma la storia non si fa co’ se, nè col senno di poi. Il movimento era ancora nella sua forma istintiva, nel suo stato violento e contraddittorio. D’altra parte la Chiesa più che da sentimenti e convinzioni religiose era mossa da interessi mondani e da passioni politiche. Perciò la restaurazione si chiarì un’aperta reazione. Nessuno di queste condizioni morbose ha avuto una intelligenza più chiara, che Paolo Sarpi. Ecco alcuni brani delle sue pitture: «Le pene canoniche erano andate in disuso, perchè, mancato il fervore antico, non si potevano più sopportare... il presente secolo non era simile a’ passati, nei quali tutte le deliberazioni della Chiesa erano ricevute, senza pensarci più oltre, laddove nel presente ognuno vuol farsi giudice ed esaminar le ragioni... il rimedio è appropriato al male, ma supera le forze del corpo infermo, ed in luogo di guarirlo sarebbe per condurlo a morte; e pensando di riacquistar la Germania, farebbe perdere l’Italia ed alienare quella maggiormente». Così parlava il cardinale Pucci, per dissuadere Adriano VI che voleva a forza di pene canoniche sradicare le idee nuove, e ricondurre l’aureo secolo della Chiesa primitiva, nel quale i prelati avevano assoluto governo sopra i fedeli, non per altro se non perchè erano tenuti in continuo esercizio colle penitenze; dove ne’ tempi che corrono, fatti oziosi, vogliono scuotersi dall’ubbidienza. Del qual parere era anche il cardinale frà Tommaso da Gaeta, a cui il Sarpi fa dire: «Il popolo germanico, che sepolto nell’ozio presta orecchio a Martino che predica la libertà cristiana, se fosse con penitenza tenuto in freno, non penserebbe a questa novità». Oltre a questo rimedio delle penitenze il buono Adriano voleva una seria riforma, quando anche dovesse lasciare il potere temporale. Ma contro gli ragiona il cardinale Soderino in questo modo: «Non esservi speranza di confondere ed estirpare i luterani