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Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. I).djvu/452

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fu ammessa al circolo romano che in quel tempo faceva quasi gli onori della città, frequentò il caffè delle Belle Arti, parlò, scrisse, predicò in favore della causa della così detta libertà1 Ma siccome avremo occasione di parlarne in seguito, così arrestiamo a questo punto i nostri cenni biografici sul suo conto, diciamo dell’onomastico del Santo Padre.

Il giorno 26 di dicembre era la vigilia della festa di san Giovanni, giorno onomastico del papa Pio IX. Volevasi in detto giorno fare non tanto una festa, quanto una dimostrazione, quasi diremmo ostile al pontefice, poichè meditossi di recare al Quirinale tanti cartelli appiccati ad altrettante insegne, dei quali fosse scritto a lettere cubitali ciò che la rivoluzione e non il popolo (come dice il Ranalli) desiderava.

E se diciamo che non fu il popolo, egli è perchè questo popolo mai non fu consultato, mai non discusse, mai non deliberò quelle cose che in nome suo si chiedevano.

Per un Romano, che siasi trovato in Roma in quei tempi, il leggere in oggi quello che ne scrive il Ranalli, il quale in Roma non trovossi, e considerare che tanti e tanti avran letto creduto, e leggeranno e crederanno siffatte apertissime falsità che da lui rispetto alla suespressa progettata dimostrazione vannosi spacciando, non può non suscitare sentimenti di tristezza sul nostro scadimento morale, perchè cose simili non si arrischierebbe di scriverle se non vi fossero molti e molti che han piacere di leggerle. Che poi siano o non siano, che ripugnino pure al buon senso non importa; egli è di queste cose che devesi scrivere per farsi leggere; egli è a queste fonti che deve attingere, ed a questo dissetarsi il popolo che ovunque è fatto bersaglio e vittima dei mestatori. Sentiamo dunque che cosa ne dice il Ranalli.2

«Le domande, che trascrivo colle stesse parole colle quali il popolo romanesco le dettò, erano: — Libertà di

  1. Vedi la Pallade num. 130 132.
  2. Vedi Ranalli vol. I, pag. 373.